Ogni tifoso di calcio ha le sue date, i giorni che non dimenticherà mai e che ogni anno celebra quasi cono religiosa devozione. Se chiedete ad uno juventino questi vi risponderà senza alcun indugio che il giorno cerchiato in rosso sul calendario è il 5 maggio, in ricordo del 2002 quando i bianconeri da terzi in classifica si aggiudicarono un inaspettato scudetto in rimonta all’ultima giornata. Allo stesso modo i tifosi nerazzurri non si sveglieranno mai più il 22 maggio senza che il loro pensiero non vada alla notte di Madrid, alla doppietta di Milito e alla vittoria della Champions League contro il Bayern Monaco, coronamento di quella che sarà la stagione del Triplete. Ora, se andate dalle parti di Islington, Londra nord, magari scendendo a Holloway Road sulla Piccadilly Line, a due passi da quello che ora è l’Emirates Stadium, molto probabilmente troverete qualche tifoso dell’Arsenal che starà brindando in un pub, ricordando quella mitica serata di 25 anni fa: il 26 maggio 1989.
Il periodo più nero del calcio inglese
La stagione 1988/1989 ha segnato il punto di non ritorno per il calcio inglese, il momento in cui tutto è precipitato e da cui tutto è ripartito. L’Inghilterra era ancora scioccata dal disastro del Valley Parade, durante la partita tra Bradford City e Lincoln City si sviluppò un incendio nella curva allora costruita per lo più in legno, persero la vita in 56, era l’11 maggio 1985. Appena diciotto giorni dopo, il 29 maggio, Bruxelles e lo stadio Heysel si trasformarono in una trappola in cui morirono 39 tifosi italiani, prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool. La Uefa punì i club inglesi con cinque anni di esclusione totale dalle competizioni continentali e soltanto a partire dalla stagione 1994/1995 il calcio inglese ha riacquisito i diritti che aveva avuto fino al 1985, al termine di un graduale periodo di reinserimento. Inutile dire che questo contribuì pesantemente al ridimensionamento di tutto il movimento.
Lontano dagli occhi dell’Europa la politica inglese, erano gli anni di Margaret Thatcher, continuava a lottare con il problema hooligans e non solo (anzi spesso gli stadi erano solo lo sfogo di tensioni sociali più profonde e complesse), senza riuscire ad ottenere grandi successi. Poi arrivò il maledetto 15 aprile 1989, la data di un’altra tragedia, la peggiore, quella che si consumò all’Hillsborough Stadium. Era la casa dello Sheffield Wednesday, ma quel giorno le Civette non dovevano scendere in campo, sarebbe andata invece di scena la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest. La partita non si giocò perché quel giorno morirono 96 persone, ad anni di distanza si sarebbe appurato che la colpa era della polizia e del servizio d’ordine che, aprendo in maniera irresponsabile dei cancelli per far defluire i tifosi che si accalcavano in Leppings Lane, avevano di fatto condannato gli spettatori già all’interno dello stadio che moriranno schiacciati contro le recinzioni, calpestati dalla folla impaurita. Questa era le Premier League, o meglio la First Division, 25 anni fa e molti, in quel pomeriggio di aprile, pensarono che ormai il giocattolo si fosse rotto per sempre.
La stagione 1988/1989, il calcio diventa attrazione da salotto
Nell’agosto del 1988 prende il via la stagione, quella che dovrebbe celebrare il centenario della fondazione della Football Association. Non mancano le novità, per la prima volta la First Division è composta da 20 squadre, ma soprattutto per la prima volta l’emittente televisiva ITV si era assicurata i diritti per trasmettere le partite in diretta. La FA era sempre stata riluttante in merito perché aveva paura delle televisioni che avrebbero potuto rubare pubblico agli stadi, ma i tempi stavano cambiando, e i problemi degli stadi inglesi incoraggiavano ad un’apertura seppur limitata. I fatti dell’Hillsborough non faranno altro che accelerare questo processo che porterà allo sbarco di Murdoch e all’inizio dell’era Sky nel calcio europeo.
Il campionato parte con un’accelerata del Norwich City che dopo quattro giornate si trova in testa, una sorpresa vista la rosa a disposizione di Dave Stringer. Così com’è sorprendente che a darle filo da torcere all’inizio della stagione sia il Millwall, che riuscirà addirittura a trovarsi al comando dopo sei giornate. L’Arsenal, allenato dall’irreprensibile George Graham, non parte benissimo: dopo una facile vittoria all’esordio per 5-1 in casa del Wimbledon arriva la sconfitta per 3-2 ad Highbury contro l’Aston Villa, poi un successo con il Tottenham e ancora passi falsi con Southampton e Sheffield Wednesday. Per i tifosi dei Gunners non è una novità, in fondo l’ultima gioia la loro squadra gliel’ha regalata nel 1971, anno dell’ottavo e ultimo campionato vinto.
Ad ottobre i risultati migliorano, i londinesi riescono a ottenere una striscia di sette risultati utili consecutivi che li riporta in alto fino al secondo posto. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre c’è un nuovo periodo di flessione, ma si riprendono in tempo per vincere le ultime quattro del girone d’andata e riuscire a scavalcare un Norwich in affanno proprio alla diciannovesima giornata, nella prima partita dell’anno. Nel frattempo il Liverpool è indietro, il 2 gennaio accusa un ritardo di 12 punti dai Gunners a parità di partite giocate. Per George Graham sembra profilarsi un girone di ritorno trionfale, ma le cose nel calcio non vanno mai come uno si aspetta.
Capita al contrario che il Liverpool dà inizio ad un filotto che lo manterrà imbattuto per tutto il 1989, 15 vittorie e 3 pareggi, al contrario l’Arsenal inizia a perdere qualche punto qua e là, pur mantenendo il controllo della situazione forte del vantaggio accumulato nella prima metà della stagione. Anche perché poi arriva il 15 Aprile, i Gunners sono ancora avanti e nell’incertezza che domina l’intero calcio inglese in molti pensano che i Reds non avranno la testa per continuare la sfida a distanza. E invece ci riescono, chi inizia a mostrare chiari segni di sbandamento sono i rossi di Londra che il 13 maggio perdono di fronte al proprio pubblico per 2-1 contro il Derby County, tre giorni dopo incappano sempre ad Highbury in un pareggio deludente contro il Wimbledon che alla prima di campionato avevano travolto. Ora il Liverpool di Kenny Dalglish è a pari punti, il 23 maggio recupera la partita contro il West Ham, vince e scavalca l’Arsenal che ora, per la prima volta in stagione insegue a tre punti di distanza, a novanta minuti dalla fine.
Il giorno più lungo e più intenso: 26 maggio 1989
La partita che avrebbe deciso l’intera, travagliatissima stagione, si gioca in una mite serata di fine maggio. Non sarebbe, da calendario, dovuto essere l’atto conclusivo ma la tragedia dell’Hillsborough aveva portato ad una serie di rinvii e alla fine la prima data utile era proprio il 26 maggio. La situazione è questa: il Liverpool guida la classifica con 76 punti e una differenza reti di +39, l’Arsenal insegue a tre lunghezze di distanza con una differenza reti di +35. Regolamento alla mano l’Arsenal deve per forza vincere, se lo farà con due gol di scarto varrà il maggior numero di gol realizzati, se i gol di differenza saranno tre o più allora a valere sarà la miglior differenza reti. Calcoli a parte nessuno crede che i Gunners, ormai in discesa libera, possano sconfiggere i Reds a Anfield Road. Nessuno vince a Anfield con più di un gol di scarto da oltre tre anni e l’Arsenal non ci riesce da quindici, il titolo del Daily Mirror è lapidario: “You Haven’t Got A Prayer, Arsenal”, come dire Arsenal non hai speranze.
Il fischio d’inizio viene posticipato per il ritardo dei tifosi londinesi rimasti bloccati nel traffico, quando le squadre scendono in campo l’emozione è palpabile. I Gunners, per l’occasione in maglia gialla, portano con sé dei mazzi di fiori che disporranno a bordo campo, sotto le tribune, per omaggiare i 96 morti di Sheffield. Al braccio portano una fascia bianca in segno di lutto, non nera come i colleghi del Liverpool perché non si sarebbe vista sulla maniche blu scuro. Inizia la partita, il dettame di Graham è abbastanza semplice, giocare senza affanno, prima di tutto pensare a non subire, poi eventualmente nel secondo tempo ci si può scoprire di più. Dalglish si sente in una botte di ferro, con Aldridge e Rush la sua squadra non ha mai perso e tra i pali è tornato da un po’, dopo l’assenza per infortunio di inizio stagione, Grobbelaar, portiere dello Zimbabwe, incubo personale dei tifosi della Roma. Ma questa è un’altra storia.
Il primo tempo finisce 0-0, come da pronostico, è il classico caso in cui i telecronisti dicono che a vincere è la paura. Inizia la ripresa e ora l’Arsenal deve mettere in pratica il piano alternativo di Graham, serve un gol in apertura per poter sperare fino all’ultimo. Al 52′ l’arbitro Hutchinson fischia una punizione indiretta per un fallo di Whelan su Rocastle. Sul pallone si porta Winterburn che scodella verso il secondo palo, Alan Smith si fionda sul pallone e di testa anticipa tutti. I giocatori del Liverpool circondano l’arbitro, non si capisce il motivo, forse recriminano per un fuorigioco o sostengono che l’attaccante non abbia toccato il pallone, rendendo così irregolare il gol visto che veniva direttamente da una punizione indiretta. Dopo essersi consultato con il guardalinee Hutchinson si dirige verso il centrocampo e convalida la rete, anni dopo racconterà che i giocatori di casa nemmeno sapevano per cosa stavano protestando. Era la paura.
I minuti passano, ma il risultato non si schioda dall’1-0, i padroni di casa forti del vantaggio in classifica giocano di rimessa e fanno paura. Ma l’occasione buona capita sui piedi di Michael Thomas, il centrocampista spara addosso a Grobbelaar e per tutti i tifosi dei Gunners è quello il segno che nemmeno quell’anno sarà il loro anno. Si arriva così al novantesimo, dagli spalti piovono fischi di incoraggiamento all’arbitro affinché metta fine alla sfida, Steve McMahon invita i suoi compagni e i tifosi a tenere duro, con l’indice fa segno che ormai è fatta manca solo un minuto. Il Liverpool attacca ma Barnes si fa soffiare la palla da Richardson che tocca al portiere Lukic che la prende fra le mani, Graham si sgola e chiede al suo portiere di lanciarla in avanti, lui non si fida e la tocca corta per Dixon. Il giovane terzino si ritrova una patata bollente fra i piedi, la vorrebbe scagliare il più lontano possibile, ma poi vede ben piazzato Smith. Il tocco è quello giusto, Smith vede l’inserimento verticale di Thomas e di sinistro tocca il pallone in profondità, il numero 4 vince un rimpallo con Nicol, fissa per un attimo negli occhi Grobbelaar prima di lasciar partire il sinistro che consegnerà lui e un’intera stagione alla storia.
Michael Thomas si dimena a terrà come attraversato da una scossa elettrica, l’Arsenal è avanti di due gol, l’Arsenal è campione d’Inghilterra per la nona volta dopo 18 anni di digiuno. Per le strade di Islington esplode la festa, che durerà per giorni, approfittando anche del Bank Holiday del lunedì successivo. Sono migliaia le persone che escono dalle case, dai pub, dagli uffici, per festeggiare, per abbracciarsi. Ci sono ancora da giocare 25 secondi ma il Liverpool non riuscirà a deviare il corso degli eventi. Ma la cosa più bella e incredibile accadrà al fischio finale, i tifosi dei Reds non si lasciano prendere dalla rabbia, non invadono il campo, né lasciano le tribune di Anfield Road. Restano semplicemente ai loro posti, ad applaudire i nuovi campioni, una cosa così in Inghilterra non si era mai vista. Quel giorno il 26 maggio 1989 tutti capiscono che un nuovo calcio è possibile, anche se per arrivarci si è dovuto toccare il fondo più nero e purulento. Liverpool – Arsenal non è solo una partita di calcio estremamente decisiva ed emozionante, è il germoglio di una nuova speranza.
Liverpool – Arsenal, come fenomeno culturale
Il giornalista del Guardian Jason Cowley è stato il primo a parlare di punto di svolta per l’intero movimento calcistico, nel libro The Last Game: Love, Death and Football, pubblicato nel 2010, scrive:
I tifosi [del Liverpool] non si misero a creare disordini. Restarono ai loro posti per essere testimoni nel momento in cui all’Arsenal sarebbe stato consegnato il trofeo, per essere testimoni del momento in cui l’armata conquistatrice avrebbe piantato la bandiera della vittoria sul prato di Anfield nel peggior giorno possibile per la squadra di casa. I tifosi del Liverpool applaudivano. È stato come se avessero capito che eravamo arrivati all’inizio di qualcosa di nuovo; che non ci sarebbe stato un ritorno ai vecchi costumi. Sei settimane dopo Hillsborough questi tifosi hanno dimostrato che avevano capito il vero significato della gloria sportiva.
A consegnare la partita, quel giorno e forse un po’ tutto l’Arsenal alla storia della cultura pop ci ha pensato Nick Hornby che nel 1992 con Fever Pitch (Febbre a 90′, Guanda) ha fatto il suo esordio nelle librerie come scrittore. Nelle 250 pagine di quel libro ci sono tutte le emozioni di una vita spesa non mollando mai la passione per il calcio, a costo di mettere a rischio altri aspetti altrettanto importanti di un’esistenza. Nel 1997 Colin Firth e Mark Strong erano gli attori protagonisti dell’adattamento cinematografico di quel libro, una sorta di film culto per tutti gli amanti del calcio che negli ultimi dieci minuti riassume l’essenza di questo sport unico. Uno sport in cui la realtà supera di gran lunga la fantasia, capace di far provare emozioni come poco altro al mondo. Per questo se oggi fate un giro dalle parti del vecchio Highbury, a Islington, di sicuro troverete qualcuno che è felice per qualcosa successa 25 anni fa. Il modo migliore per chiudere sono le parole di Nick Hornby tratte dal suo libro, magari da leggere subito dopo aver visto quei magnifici, folli minuti che portarono al gol di Michael Thomas.
- Nessuno dei momenti che la gente descrive come i migliori della propria vita mi sembrano analoghi. […] E allora non c’è proprio niente che possa descrivere un momento così. Ho esaurito tutte le possibili opzioni. Non riesco a ricordare di aver agognato per due decenni nient’altro (cos’altro c’è che sia sensato agognare così a lungo?), e non mi viene in mente niente che abbia desiderato da adulto come da bambino. Siate tolleranti, quindi, con quelli che descrivono un momento sportivo come il loro miglior momento in assoluto. Non è che manchiamo di immaginazione, e non è nemmeno che abbiamo avuto una vita triste e vuota; è solo che la vita reale è più palllida, più opaca, e offre meno possibilità di frenesie impreviste.
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