Le argomentazioni nel calcio possono rivoltarsi come calzini anche nel corso della medesima stagione. Talvolta anche quelle che possono apparire a un certo punto come verità consolidate e incontrovertibili. In casa Juve questa sovversione non rigaurda la squadra, rinvigorita, ravvivata e ritrovata dopo il 3-0 scozzese e lo stesso rotondo risultato ottenuto in un match molto temuto quale quello contro il Siena (a prescindere dalla parentesi di Roma).
Piuttosto, riguarda situazioni di campo. Non gerarchie, settori. In particolare l’efficacia delle due corsie laterali, chiamate da Conte a lavoro davvero improbo nel 3-5-2 che molto spesso è un 3-3-4. Insomma, riguarda i loro titolari, ovvero Lichtsteiner e Asamoah, il primo “succube” dell’altro (reinventato da esterno) nella prima fase della stagione dopo essere stato uno dei trascinatori nella cavalcata verso lo scudetto.
Perché non c’è dubbio alcuno sul fatto che nel girone d’andata lo svizzero era parso a tratti irriconoscibile, mai irresistibile. Decisivo a Palermo ma certamente meno preciso, chirurgico e travolgente rispetto al ghanese che fin dalla Supercoppa aveva stupito tutti a suon di prestazioni e progressioni.
Oggi non è più così. Proprio in concomitanza della Coppa d’Africa e dell’assenza di Asamoah (con relativi problemi su quella fascia dove si sono alternati i vari De Ceglie, Peluso, Isla e Padoin con risultati alterni) è resuscitato Lichtsteiner, evidentemente uno che non ha paura ad accollarsi le responsabilità quando scocca l’ora di tornare a spingere, ad essere presente, a far valere la personalità. Ancora tra i migliori con il Siena, combattivo a Roma, dirompente a Celtic Park, super contro la Fiorentina. Altro che Paris Saint-Germain a 12 milioni di euro…
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