Sneijder

Gli auguri di compleanno di oggi a Wesley Sneijder, ex trequartista della nazionale olandese e dell’Inter. I dettagli

Oggi Wesley Sneijder compie 39 anni. Domani l’Inter potrebbe fargli il regalo di un ritorno al futuro permettendo di rivivere – a lui, alla squadra e a tutto il popolo nerazzurro – una versione aggiornata del 2010: un’altra vittoria in Champions League, per il contributo della quale l’olandese non si è più speso in campo ovviamente, bensì dagli spalti. E non nei posti che sono soliti frequentare quelli come lui, bensì in curva, in mezzo alla Nord, a cantare e urlare con un suo compagno dell’epoca durante il derby di ritorno che ha permesso di staccare il biglietto per Istanbul. L’ha definita «una serata magnifica, che non dimenticherò: non capita spesso di andare in una vera “curva”. E poi San Siro in certe notti diventa unico: contro il Milan mi ha ricordato l’atmosfera della semifinale vinta contro il Barcellona 13 anni fa. Poi con il mio amico Materazzi, un “pazzo” buono, è stato ancora più divertente».
Come giocatore, Sneijder è stato poco discutibile. Classe pura, capacità di essere decisivo nei momenti importanti, continuità di rendimento. Come quella che ha registrato con la sua nazionale, con la quale è andato vicino a compiere l’impresa sfiorata in precedenza alla generazione di Johan Cruijff, l’inventrice del calcio totale. Perché in quel 2010, per l’appunto, Wesley non solo è stato uno degli eroi del Triplete e ogni interista ha nella memoria fissata per sempre una clip delle sue meraviglie. Con l’Olanda è arrivato a contendere alla Spagna il Mondiale sudafricano fino ai supplementari della finale, finendo anche per uscire dal podio del Pallone d’Oro, dove avrebbe meritato di starci e non necessariamente nel gradino più basso. Un affronto di cui si parla e scrive ancora adesso, una di quelle omissioni che ha contribuito a rendere meno prestigioso un premio che non dovrebbe incorrere in errori così macroscopici come quelli di certe edizioni.

E di partita in partita, è diventato il primatista degli Orange per numero di presenze, ben 134, una cifra considerevole per un giocatore di movimento. Una certa misura della grandezza la si capisce quando arriva il momento di dire basta. É dai saluti che ti fanno, dal modo con il quale vieni celebrato, che si coglie la portata del tuo percorso per gli altri, il significato collettivo della vita di un individuo che non è mai solo pura professione, sport e basta. L’addio alla sua Olanda Sneijder l’ha vissuto in mezzo al campo, seduto su un divano con la famiglia. Un salotto a cielo aperto con migliaia di persone a commuoversi nel rivedere su uno schermo i passi salienti della sua carriera.

Probabilmente in maniera inconsapevole, in quella serata si è prefigurato anche il post-calcio di Wesley. Che è fatto di svariate attività, tra le quali c’è anche fare l’opinionista in televisione o scrivere la propria autobiografia. Attività unificate da una sincerità estrema, quel che ha da dire lo dice, senza fare giri di parole. Esempi: Alfred Schreuder sostituisce sempre Steven Berghuis nelle gare dell’Ajax d’inizio campionato? Lui non ci sta, dice che non capisce come mai l’allenatore non si azzardi mai a far uscire dal campo anzitempo Dusan Tadic, capitano e vate della squadra: «Toglilo solo una volta. Perché deve restare in campo? Lo fai per paura Non ci credo: puoi anche dare un segnale una volta, no?». Oppure se la prende anche con l’Inter, incapace a suo dire di gestire il caso Skriniar. E va dritto al punto, se la prende direttamente con la dirigenza, l’attacca frontalmente.

Un atteggiamento che ha anche nei confronti di se stesso. Come nel racconto della propria vita, intitolato semplicemente De Biografie, foto di copertina lui con la maglia numero 10 dell’Olanda mentre applaude verosimilmente in risposta al pubblico che lo acclama. Insieme all’attestato a Mourinho di miglior allenatore mai avuto, per la capacità di formare un gruppo unito regalando libertà a ogni componente, ha raccontato senza pudori la prima esperienza fuori dall’Olanda, quando è passato da Amsterdam a Madrid, alla casa Blanca: «Ero giovane e ho apprezzato il successo e l’attenzione. Ma qualcosa deve essere andato storto lì. Niente droghe, ma alcol e rock’n’roll. Mi ci sono abituato, come una delle stelle della famiglia reale olandese. Sono rimasto solo e vedevo il piccolo Jessey davvero poco. Potevo solo stare da solo. A proposito, perché restare soli quando hai abbastanza amici con cui passare il tempo libero? Non mi sono reso conto che la bottiglia di vodka era diventata la mia migliore amica. Fisicamente, non me ne accorgevo nemmeno. Il giorno dopo mi svegliavo come se nulla fosse accaduto. Ho continuato a giocare, ma meno bene e nettamente meno concentrato. Il mio atteggiamento non era degno del Real Madrid».

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ultimo aggiornamento: 09-06-2023