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Cavani, addio al Napoli. L’ultimo capitolo di una storia di grandi attaccanti azzurri

Agli inizi furono l’italo-paraguaiano Attila Sallustro e l’istriano Antonio Vojak, ancora rispettivamente al secondo e al quarto posto assoluto tra i cannonieri del Napoli di tutti i tempi con 111 e 103 reti in azzurro. Un calcio diverso, ma anche una piazza diversa, non ancora il Napoli “…che non è soltanto una squadra di calcio, ma lo stato d’animo di un’intera città” come ebbe a dire lo storico inviato RAI Salvatore Biazzo.

Oggi c’è Cavani, che è già a Parigi per il rito di visite mediche e firme, terzo goleador di sempre (davanti a lui anche Sallustro con 111 centri) in sole tre stagioni sotto il Vesuvio a 11 reti appena dal mito di Diego Armando Maradona che salutò però per sfinimento (e tutto il contorno che ben conoscete) dopo 7 anni. 115 a 104 a favore dell’argentino, per una somma totale di 219 gol di una coppia virtuale che sarebbe forse stata tra le ideali del calcio italiano e internazionale per assortimento. Calciatori diversi, atleti diversi. El Pibe de Oro e El Matador. L’amore di un popolo e il triste addio. Per Cavani però si tratta di una scelta professionale nel momento topico della carriera, investito dalla fama e forse anche dal vil denaro. Ma questa è una vecchia storia, non così antica come Sallustro e Vojak, ma almeno quanto Savoldi e Altafini, rispettivamente settimo e quinto nella speciale classifica dei bomber del club partenopeo.

Il primo resta nella storia come “Mister Miliardo”, prelevato dal Bologna nel 1975 per la cifra in lire che stabilì un record assoluto per il calcio italiano (un miliardo e mezzo ai felsinei più due giocatori). Da lui, 77 reti in 4 stagioni, il Napoli tra abbonamenti, dischi e collaterali vari ne incassò quasi 16, di miliardi. C’era già Ferlaino e Savoldi era “‘O Marajà” in tutti i sensi.

Il secondo, Altafini, viene acquisito per 250 milioni, segna 97 gol in 7 anni (uno in più di Careca) per poi passare alla Juventus a fine carriera e lasciare ancora il segno grazie a un gol scudetto in bianconero che gli valse il prevedibile appellativo di “Core ‘Ngrato“. Mercanario oggi, mercenari allora. Dagli anni ’60 il calcio è cambiato più nei tempi, nei ritmo, nella tattica che nella dialettica.

Poi Careca (unica vera spalla di Maradona, sesto marcatore di sempre con la casacca azzurra e tra i migliori in assoluti in quanto a qualità di gol, vero precursore della Cavani-mania), Carnevale, Giordano. Questi due amatissimi a tratti ma anche fortunatissimi a godere del miglior Dieguito alle loro spalle e al loro servizio. Era uomo squadra, Maradona. Gli anni ’80.

La Ma-Gi-Ca. Ma soltanto il brasiliano Careca, tecnicamente parlando, aveva quel killer-instinct rivisto nelle recenti giocate sottoporta dell’uruguaiano, un tratto peculiare che l’ex Palermo (pagato complessivamente 17 milioni tra primo prestito e riscatto successivo da parte di De Laurentiis) ha costruito come caratteristica propria soltanto a Napoli sotto la guida di Walter Mazzarri che ne ha saputo esaltare le doti, lavorandolo e responsabilizzandolo.

Prima era nel meno famoso A-Mi-Ca di Guidolin nel tridente composto insieme a Miccoli e Amauri. Il resto è venuto da sé, fino ai 64 milioni per i quali saluterà il Vesuvio e chi lo amato. Più, meno o uguale ai predecessori. Estate 2013. Attualità, ma anche spartiacque per i racconti del futuro. Ora tocca a Rafa Benitez e qualcuno, là davanti, che sia in grado di tenere alto il nome (anzi i nomi) citato sopra.



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