Destino opposto nel mercoledì di Champions per le italiane nerazzurre. L’Inter sbatte contro il muro ucraino dello Shakhtar e, pur evitando il biscotto madrileno, fa una vera e propria frittata piazzandosi ultima nel girone. L’Atalanta di Gasperini trionfa ad Amsterdam e si regala, per il secondo anno di fila, una storica qualificazione agli ottavi.
Le diverse sfumature della vittoria innalzano la bellezza di uno sport come il calcio pur sempre legato, alla fine di ogni stagione, al diabolico e cinico calcolo dei trofei vinti e non. La cura dei dettagli, il dettame tattico e il passato sia nerazzurro, ma anche bianconero, accomunano Conte e Gasperini, gli antipodi dell’élite degli allenatori italiani.
GASPERINI
Superata l’esperienza alla primavera della Juventus, Gasperini, durante il corso della sua carriera, si era ormai lasciato alle spalle quel legame a quel, a volte fastidioso, motto juventino del “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta“. La sua Dea deve prima convincere e poi vincere, ma in Europa, si sa: è dura per tutti.
Nonostante i rumors di uno spogliatoio ormai diviso e di una rottura, quasi insanabile, con il capitano Papu Gomez, Gasperini riassembla i pezzi e con un bagno di umiltà inserisce un centrocampista in più in mezzo al campo per convincere meno e vincere di più. Ad Amsterdam va in scena il capolavoro europeo della Dea versione 2.0. Un bis, che migliora, se possibile, la qualificazione agli ottavi dello scorso anno, arrivato grazie alle tre clamorose vittorie esterne di un’Atalanta umile e cinica. Le grandi squadre si costruiscono con le grandi imprese di un allenatore che, in questo caso, ha saputo osare e, alle volte, anche fare un passo indietro. Vincere aiuta a vincere, ma non solo. Questa vittoria fortifica e sana, almeno parzialmente, uno spogliatoio che sembrava arrivato al punto di non ritorno e di una frattura definitiva. Un gruppo che incarna e rispecchia alla perfezione lo spirito del proprio allenatore. L’Atalanta riesce a mettere in campo le idee del Gasp continuando a raggiungere traguardi sempre più sorprendenti, divertendo, ma soprattutto vincendo.
CONTE
Non solo per l’allenatore o il calciatore, ma anche per l’uomo Antonio Conte, la vittoria è da sempre un’ossessione. Non si riesce a far fatica ad immaginare l’attuale stato d’animo dell’allenatore salentino vista la cocente eliminazione da tutte le coppe europee e l’ultimo piazzamento nel girone. Dalla finale persa ad agosto, fino al fango di Istanbul quando sedeva sulla panchina bianconera, l’Europa non sembra essere il posto adatto per il calcio di Conte. In campo internazionale l’allenatore nerazzurro sembra venire meno a quel motto juventino, osannato e difeso sia da capitano e da allenatore, per dar spazio ad una assurda convinzione che in Europa il suo gioco non debba adattarsi e/o stravolgersi a quello degli altri. Diventa inevitabile, però, che un allenatore, che abbia perso poco più di qualche mese fa 5-0 contro di te in una semifinale europea, corra ai ripari per provare a sorprenderti tatticamente. Per carità, nessuno dica che l’Inter non ci abbia provato in entrambi i match contro lo Shakhtar, ma con i se e con i ma non si fa la storia. Come in altre occasioni durante tutte le partite del girone, a eccezion fatta per l’ultima trasferta in Germania, ai nerazzurri sembrava che vincere non fosse di primaria necessità e che per trovare la via del gol ci potesse essere soltanto un unico modo.
Ci sono notti in cui il pallone assume un peso specifico differente, in cui le stelle, quelle vere, brillano di luce propria all’interno del rettangolo verde e finisco col lasciare un segno indelebile nel match. In breve: i giocatori di qualità vanno fatti giocare, perché si può vincere senza, ma è decisamente più facile farlo avendoceli in campo.
Perché in fondo vincere è meglio che convincere e, probabilmente, resta anche l’unica cosa che conta…
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