19 agosto 2014, Antonio Conte ha tenuto la sua prima conferenza stampa da ct della Nazionale italiana.
Era la notizia sportiva del giorno e tutti gli occhi erano puntati su Carlo Tavecchio, sui dettagli del contratto, sullo sponsor, ma soprattutto su di lui, Antonio Conte, amato e odiato, vincente (ma rimproverato di non esserlo stato in Europa), controverso (ma solo perché nessuno fra i moralizzatori gli perdona una squalifica per omessa denuncia. Qualcuno arriva addirittura a paragonarla alla condanna penale di Berlusconi) e, senza ombra di dubbio, volto importante per la Nazionale italiana.
Conte non ha deluso i suoi affezionati e ha avuto risposte per tutti.
Si è concesso di fare una battuta a una serie di domande (fra cui una sulla sua squalifica, appunto, e una sul numero degli scudetti della Juventus), dicendo:
«Sono tre domande agghiaccianti».
Risate in sala stampa, mentre il ct rispondeva che ritiene la sua squalifica, ancora oggi, ingiusta – Tavecchio non batte ciglio – e che è legato agli scudetti della Juventus che ha vinto (5 da giocatore, 3 da allenatore) – cos’altro avrebbe dovuto dire?
Il ct ha tenuto botta per tutta la conferenza stampa, chiarendo tutti i punti “dubbi”.
Il primo, ripetuto, reiterato anche alla nausea è che Conte è arrivato per vincere. A Repice, che gli ha ricordato che nessuno si aspetta che si vinca da subito, mentre alla Juventus era condannato a vincere – in verità in molti aspettano che Conte perda per rinfacciarglielo, ovviamente – Conte ha risposto che la vittoria è
«una dolce condanna»
e che bisognerà lavorre perché
«vincere sia una dolce condanna anche per la Nazionale».
Il nuovo ct ha ribadito che per lui la vittoria è fondamentale, che perdere è come una «morte apparente», che vuole trasferire questa mentalità ai giocatori che convocherà.
E veniamo alle convocazioni. A chi ha polemizzato un po’ sulla questione del contratto con la Puma, Conte ha precisato per prima cosa che ha ceduto integralmente tutti i suoi diritti d’immagine (mica poco). Poi ha detto, perentoriamente (e parlando di sé in terza persona, come al solito):
«Chi conosce un po’ Antonio Conte uomo e professionista sa che niente e nessuno potrà decidere al posto mio. Niente e nessuno mai».
Conte ha ribadito che solo lui e i suoi osservatori saranno giudici ultimi delle convocazioni, che non ci sarà un codice etico scritto, ma che si deciderà in base alla morale e alla logica. E all’uomo, fuori e dentro il campo.
«Fra un buon giocatore e grande uomo, e un ottimo giocatore e uomo medio, sceglierò sempre il primo».
Il messaggio per le teste calde è chiaro. Ma non solo: Conte ha ricordato che da giocatore provava sempre un’ansia positiva al momento delle convocazioni del ct della Nazionale. E vuole che i giocatori italiani amino la Nazionale e provino quell’ansia. Niente posti fissi, tutti dovranno dimostrare di meritare la convocazione.
In sostnza, chi odiava Conte lo odierà ancora di più (e aspetterà di ballare sul suo cadavere sportivo in caso di sconfitta, recuperando tutte le polemiche di questi giorni). Chi, invece, lo apprezza, non potrà che augurargli – come il sottoscritto – di vincere.
In questo caso, vincere non vuol dire solamente vincere l’Europeo 2016 – il primo appuntamento importante dell’era-Conte –, non vuol dire vincere tutte le partite – sappiamo tutti che a Conte piacerebbe – ma vuol dire dare una sferzata al calcio italiano.
Non so se ce la farà, ma sono personalmente convinto – e pronto a mettere in discussione questa mia idea, ovviamente – che Conte, in questo momento, sia l’uomo giusto al posto giusto, con buona pace di moralisti e moralizzatori.
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