La cosa più divertente e deprimente insieme della vicenda che ha portato Conte a diventare nuovo ct della Nazionale italiana è tutta giornalistica.
Ma andiamo con ordine, per spiegare bene i fatti.
Le vicende recenti degli Azzurri si riassumono facilmente: figuraccia ai Mondiali in Brasile (fuori ai gironi, come 4 anni fa), Cesare Prandelli si dimette da ct (e finisce al Galatasaray), Giancarlo Abete si dimette da Presidente della Federcalcio. Tutti dicono che il movimento calcistico italiano è da rifondare, rottamare (renzianamente parlando, s’indende): è tutto sbagliato, tutto da rifare. Per qualche giorno, i destini azzurri sembrano incrociarsi con quelli bianconeri: nel frattempo, infatti la Juventus inizia il ritiro a Vinovo. Il giorno dopo Antonio Conte si dimette. Si fa il suo nome per la Nazionale, ma lo si affossa velocemente (altri sembrano essere più interessanti, soprattutto mediaticamente: Mancini, per esempio. O Guidolin, chissà). Anche a chi scrive, qui, l’ipotesi pareva poco conveniente a entrambi: Conte è poco amato in Italia, la compagine azzurra troppo difficile da gestire per un allenatore che vuole vincere. Poi, ecco le polemiche in Figc: si candida Tavecchio, che tutto ha nel curriculum fuorché la rottamazione (e per gradire dimostra anche scarsa preparazione culturale, con infelici e stantie uscite razziste e sessiste). Il suo avversario è Albertini (che si vuol far sembrare un rottamatore, ma in realtà era vicepresidente federale, quindi dentro al sistema fino al midollo, per quanto minoritario). Vince Tavecchio, nonostante le polemiche. E che fa, Tavecchio? Prova a dare un segnale, suo malgrado: cerca di prendere un allenatore vincente (Conte è il primo Campione d’Italia in carica a sedere sulla panchina della Nazionale dai tempi di Helenio Herrera, 1966), che impone delle condizioni durissime e proprie di chi vuole mettere in piedi un programma a lungo termine. La Federazione deve, evidentemente, dimostrare di volersi svecchiare. E accetta. Il nodo economico si risolve con lo sponsor.
Ed è qui che, finalmente, entra in gioco Repubblica.it, che, come Libero, solleva il problema del compenso privato per il ct della nazionale.
Fabrizio Bocca, sul suo blog, si scatena parlando del grosso del compenso messo da Puma:
«Non siamo a una piccola fetta, ma alla gran parte della torta. Tanto da far pensare che Conte dipenda più dalla Puma che dalla Federcalcio. Uno stipendio record tra l’altro da star internazionale della panchina, mai pagato dalla Federcalcio a nessun ct precedente. Nemmeno a Sacchi e Lippi, che pure quando arrivarono in azzurro avevano vinto con Milan e Juve anche più di Conte».
E ancora:
«Mi chiedo: Antonio Conte lavorerà per la Federcalcio o piuttosto per la Puma?»
Subito dopo Bocca ci tiene a precisare (ma chi è arrivato a leggere fin lì?):
«Sono sicuro che Antonio Conte non cederebbe mai alle pressioni di uno sponsor».
E allora, verrebbe da chiedergli, se ne sei sicuro, qual è il problema? Sembrerebbe una questione di principio. Infatti, Bocca continua così:
«già metterlo nelle condizioni di subire eventualmente pressioni non è buona cosa per una federazione del Coni. Una bella fetta del suo stipendio sarà pagata da sponsor di altri giocatori azzurri. Sponsor, ripeto, che non si è cercato lui – come normalmente accade in questo tipo di mercato – ma che gli sarà “fornito” dalla stessa Federcalcio. La triangolazione Sponsor-Federcalcio-Ct diventa così furbetta e insidiosa»
Fino alla chiusa finale:
«Il costo dell’operazione Conte ct sponsorizzato sarà altissimo».
Non bastava, però, un pezzo. Ci voleva anche l’analisi Maurizio Crosetti, così riassunta:
«Un fatto inedito, avere uno sponsor privato che paga un allenatore pubblico. Antonio Conte diventa il secondo Ct più pagato al mondo dopo Fabio Capello. Un intervento economico così importante da parte di uno sponsor, però, lascia la porta aperta ai sospetti sull’eventuale condizionamento per le scelte che il Ct si troverà a fare»
«Quante ombre», si legge nella homepage.
Dello stesso tenore, i “dubbi” di Libero. Solo che proprio Libero ci viene in soccorso in questa surreale vicenda mediatica. Perché, dopo una polemica sui compensi dell’ex ct, Cesare Prandelli, il quotidiano di Maurizio Belpietro lo intervistò. Ed ecco quel che dichiarò Prandelli il 15 aprile 2014:
«La Federazione non usa solo soldi pubblici per pagare il sottoscritto, il 60-70% del mio stipendio viene pagato dagli sponsor».
Rileggiamo bene. C’è proprio scritto così, fra virgolette, nero su bianco: «il 60%-70% del mio stipendio viene pagato dagli sponsor».
Non solo. Su La Stampa spiegano anche che il rinnovo di Prandelli (si era prima dei Mondiali e delle dimissioni), firmato a maggio, prevedeva un compenso di 1,7 milioni di euro netti (3,2 lordi, ricorda Gazzetta) ma prevedeva anche degli aumenti. In che modo? Ecco qui:
«Il ct azzurro condividerà con la Federcalcio i propri diritti di immagine quando i ventidue fra sponsor e partner della Figc decideranno di scendere in campo coinvolgendo l’allenatore nelle campagne pubblicitarie o di altra natura. Così, l’ingaggio del ct aumenterà in proporzione al suo impegno fuori dal terreno di gioco e, allo stesso tempo, la Figc potrà affiancarlo ogni volta che Prandelli decide di giocare una personale partita nel sociale».
E la cosa prosegue oggi, analogamente, con Conte. Infatti, nella nota della Figc di oggi si legge:
«la FIGC ha definito i termini di un nuovo rapporto di partnership commerciale con alcuni dei propri sponsor con termini assai innovativi per la internazionalizzazione del marchio FIGC e la valorizzazione della Nazionale, e che prevedono anche l’utilizzazione dell’immagine del nuovo C.T. come testimonial, rendendo così possibile l’intera operazione».
Dove sono le differenze?
Chi disse qualcosa, quando la questione-sponsor era legata a Prandelli?
Non ricordo alcuna polemica (e non se la ricorda nemmeno Google) in merito, né prima, né al momento del rinnovo, né durante la breve avventura dei Mondiali.
Dobbiamo forse pensare che il flop azzurro ai Mondiali sia stato causato da pressioni che Prandelli potrebbe aver ricevuto dagli sponsor? Certo che no. Sarebbe folle.
Perché in nessun mercato plausibile, uno sponsor si legherebbe a un giocatore scarso per poi imporre a un ct di convocarlo in nazionale per far poi perdere la nazionale. Ne uscirebbero tutti con le ossa rotte (ct, giocatore e soprattutto chi ci mette i soldi: lo sponsor).
E allora, se questa logica lineare valeva per Prandelli, che valga anche oggi per Antonio Conte, per favore. Almeno per quel minimo di onestà intellettuale dovuta agli appassionati di calcio.
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