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Il Manchester United è ufficialmente in crisi: i cinque motivi per cui i Red Devils balbettano

Il Manchester United non sa più vincere (due pari e due ko nelle ultime 4 uscite), in Premier League ha la miseria di 22 punti dopo 15 giornate e ora il distacco dalle zone nobili della classifica comincia a farsi pesante: nono posto a -7 punti dai cugini del City quarti, a ben 13 lunghezze dalla vetta occupata dall’Arsenal, appena 22 gol fatti (di cui 15 provenienti dal duo Rooney – Van Persie) e addirittura 19 subiti, quanto lo Swansea o il West Ham (nove squadre hanno subito di meno). I bookmakers britannici danno i Red Devils vincenti in Premier addirittura a 36 (a sei mesi da un titolo vinto in scioltezza), l’esonero di Moyes è considerato il più probabile (!!!) e la possibilità di non arrivare tra le prime tre è molto alto (sarebbe la prima volta che la squadra si ritroverebbe fuori dal podio da quando è nata la Premier League nel 1992). Numeri e statistiche che certificano una crisi da cui ormai lo United non può nascondersi, con l’unica grande consolazione di aver passato il turno in Champions League (e per quanto può rendere allegri in League Cup): dopo quattro mesi e tanti, troppi risultati negativi, è il momento di analizzare il periodo decisamente no della squadra più forte d’Inghilterra degli ultimi lustri, un appannamento non casuale e che riconosce diverse ragioni. Vediamo quali.

Il mercato estivo deficitario

Squadra che vince non si cambia, non è sempre vero se le avversarie si rafforzano, la rosa ha un anno in più sul groppone e l’unico grande acquisto si rivela un mezzo flop: pagato più di 32 milioni di euro, Marouane Fellaini quest’anno è sceso in campo in campionato solo otto volte, addirittura appena quattro dal primo minuto. In estate si cercava Ozil, poi finito all’Arsenal di cui sta facendo le fortune, ma anche Baines, Herrera e Fabregas, non riusciti a strappare ad Everton, Athletic Bilbao e Barcellona: semplicemente i Red Devils sono stati a guardare in sede di mercato, ora ne stanno pagando le conseguenze ritrovandosi con una rosa sempre di primo piano ma con lacune evidente in diversi settori.

Il passaggio da Ferguson a Moyes

Una svolta epocale di tale portata avrebbe disorientato qualsiasi squadra, eppure è forte il sospetto che il passaggio di consegne sia stato un po’ avventato e non pianificato al meglio: dopo decenni di reggenza di Sir Alex Ferguson, il timone è stato affidato a un manager bravo sì ma non ancora consacrato a fuoriclasse della panchina, senza esperienza in Champions e senza punti di riferimento che potessero fare da trait d’union col recente passato: l’ex Everton si è portato all’Old Trafford il suo staff, nessuno dei vecchi assistenti del suo predecessore è rimasto a far da chioccia, ma i Toffies non sono i Red Devils e, sebbene la cosa la sapessero tutti, il buon Moyes la sta sperimentando sulla sua pelle.

Gli infortuni a catena

Un mese senza Van Persie può essere tanto, troppo anche per una squadra che in teoria non dovrebbe far affidamento su un solo giocatore: dalla gara vinta con l’Arsenal, dell’olandese non si erano avute più tracce per un problema all’inguine, è tornato sabato col Newcastle ma è apparso fuori condizione e non ha potuto evitare la sconfitta. E’ ancora fuori per problemi al tendine d’Achille Carrick, altra bega non da poco per Moyes, così come è mancato per più di un mese Welbeck per problemi al ginocchio e, a inizio campionato, Ferdinand: sommando tutte queste defezioni si possono comprendere le difficoltà della squadra ad esprimersi sui livelli dell’anno passato.

Poche idee a centrocampo

E’ la zona nevralgica di qualsiasi squadra di calcio: non ci si può affidare sempre ai lampi di Rooney, all’eterna giovinezza di Giggs o alle parate di De Gea, Barcellona, Juve e Bayern Monaco insegnano che per vincere occorre un centrocampo di prima qualità. Esattamente quello che non ha il Manchester United: come detto ha deluso Fellaini ed è ai box Carrick, il peso della mediana in queste partite fallimentari (pareggi con Cardiff e Tottenham, ko con Everton e Newcastle) è affidato a Phil Jones, che ricordiamolo nasce difensore, e a Cleverley, non ancora un top player. Anderson offre poco, Kagawa si fa fuori da solo per indigestione alimentare, Valencia e Nani sugli out funzionano ad intermittenza.

Una proprietà non proprio sul pezzo

Il nome su cui si cominciano insistentemente a sollevare dubbi è quello di Ed Woodward, braccio destro della famiglia Glazer assurto ad attore principale in sede finanziaria e va da sé di mercato: a lui si deve l’acquisto di Fellaini e i vari colpi rimasti in canna di Herrera e Thiago Alcantara, una condotta preventivabile se è vero che prima di arrivare allo United non aveva alcuna esperienza calcistica ad alti livelli. La proprietà negli ultimi anni ha speso infinitamente meno delle concorrenti, anche se non soprattutto per ripianare i debiti, ma se era l’ora di fare di necessità virtù, cosa che riusciva più che bene a Ferguson, la scarsa competenza degli uomini chiave del club rischia di far naufragare la squadra a livello di risultati sportivi.



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