L’Europa League entra nel vivo e, che piaccia o no, da oggi i tifosi italiani dovranno seguirla molto più di quanto non abbiano fatto fino ad ora: ben quattro le formazioni italiane ancora in lizza dopo la qualificazione di Lazio e Fiorentina e la retrocessione dalla Champions League di Napoli e Juventus. Oggi si sono tenuti i sorteggi per le sfide dei sedicesimi di finale (20 e 27 febbraio) e ottavi (a marzo): dalle mani di Ciro Ferrara son venute fuori avversarie tutto sommato abbordabili per le nostre formazioni (qui nel dettaglio gli accoppiamenti, qui il calendario), squadre che per lo più sono poco o per niente conosciute alle nostre latitudini. Perciò ora vi racconteremo tutto quello che dovrete sapere su Trabzonspor (Juve), Swansea (Napoli), Esbjerg (Fiorentina) e Ludogorets (Lazio), non dovete fare altro che mettervi comodi e continuare la lettura.
Trabzonspor
I soldi non mancano al presidente İbrahim Hacıosmanoğlu, se è vero che può permettersi giocatori che non costano proprio due spiccioli: i vari Malouda, Bosingwa e Zokora non sono andati a Trebisonda per giocare partite di beneficenza, ma con il dichiarato obiettivo di riportare il titolo sul Mar Nero dopo trent’anni di dominio delle formazioni di Istanbul. Obiettivo fino ad ora fallito, perché il Trabzonspor non riesce a scrollarsi di dosso il tratto caratteristico che lo contraddistingue da sempre: l’incostanza. Quest’anno sono settimi in campionato (stasera giocheranno col Bursaspor), l’anno passato arrivarono addirittura noni, eppure grazie alla finale raggiunta in Coppa di Lega (vinta dal Fenerbahce) si sono guadagnati un pass per l’Europa League: hanno cominciato sin da luglio, tre turni preliminari sbarazzandosi di Derry, Dinamo Minsk e Kukesi, girone con la Lazio vinto con quattro successi e due pari, proprio contro i biancocelesti.
Tra le stelle o presunte tali presenti in rosa, nel 4-2-3-1 del tecnico Akçay brillano anche gli idoli di casa Kıvrak (il portiere), Yumlu (lo stopper) e Adın, 28enne centrocampista offensivo esploso proprio all’Hüseyin Avni Aker (lo stadio cittadino di 25mila posti); il filtro a centrocampo è garantito dal pilastro Colman, argentino, il numero dieci del club risponde invece al nome di Mierzejewski, polacco già al Legia Varsavia, di punta l’attaccante di riferimento è Paulo Henrique, 24 anni ex Atletico Mineiro che già punì la Lazio con gol e assist nella gara del 3 ottobre scorso. Parliamoci chiaro: il Trabzonspor è una buona squadra, più che dignitosa e capace di tutto (come vincere sul campo dell’Inter, due anni fa, in Champions), ma oggettivamente non può far paura alla Juve che per altro potrà studiare gli avversari con attenzione rivedendo la doppia sfida contro la Lazio; il fatto di tornare in Turchia (dopo la cocente sconfitta contro il Galatasaray) non potrà che essere uno sprone per Conte e i suoi ragazzi.
Swansea
Come un danese può tirar su una colonia spagnola a Swansea (città natia dell’indimenticabile attaccante della Juve John Charles): chiedere per delucidazioni a Michael Laudrup, folgorato dal calcio iberico e dai suoi sette anni spesi da giocatore al Barcellona e al Real Madrid (più altri due da allenatore di Getafe prima e Maiorca poi), tanto da riproporre in Galles il modello spagnolo, a partire come ovvio dagli interpreti del suo gioco. Salito per la prima storica volta nel massimo campionato inglese nel 2011, lo Swansea da due anni ottiene tranquille salvezze che stanno contraddistinguendo anche la stagione in corso (decimo posto con cinque vittorie, cinque pareggi e sei sconfitte); in Europa League ci è arrivato aggiudicandosi la Coppa di Lega lo scorso febbraio, vincendo 5-0 col Bradford a Wembley, si è guadagnato il Napoli ai sedicesimi di finale battendo Malmoe e Petrolul nei preliminari, quindi piazzandosi secondo nel girone con Valencia (primo), Kuban e San Gallo (eliminati).
Il 4-3-3 di Laudrup non ammette imperfezioni: i suoi cigni neri, come vengono soprannominati i giocatori, devono correre su ogni pallone non trascurando la parte tecnica, fatta di fine palleggio e improvvise verticalizzazioni; gli interpreti del credo calcistico del danese gli consentono di suonare un certo tipo di spartito: Michu è un’autentica spina nel fianco lì davanti (l’anno passato 22 gol e convocazione meritata con la Spagna), Shelvey (ex Liverpool) e De Guzman cercano di tenere in piedi la mediana per favorire le scorribande di peperini del calibro di Pozuelo (Betis), Pablo Hernandez (una vita al Valencia) o Nathan Dyer. Inutile citare tutti i componenti della rosa dello Swansea, gente con una certa esperienza e sempre più amalgamata in un gruppo che Laudrup plasma giorno dopo giorno: no, il Napoli non deve temere i gallesi, e non solo perché Benitez li conosce a perfezione; eppure non bisognerà prendere sotto gamba la partita d’andata al Liberty Stadium dove l’intensità dei padroni di casa potrà essere dirompente.
Esbjerg
Vittoria, questa sconosciuta: non ci preoccupiamo di far dispiacere nessuno se asseriamo che la compagine danese, tra le 32 del lotto, era la più abbordabile. Non vince in campionato da settembre (o da otto partite, che dir si voglia, di cui sei sono state malamente perse), giace al penultimo posto in classifica dopo 18 turni e il loro miglior giocatore delle ultime stagioni, Braithwaite, è stato ceduto al Tolosa. Che ci fanno dunque i biancoazzurri ai sedicesimi di finale di Europa League? E’ presto detto: l’anno passato hanno vinto la Coppa Danese (e sono tre, visto che anche le due squadre di cui abbiamo già parlato sono arrivate in Europa tramite la coppa nazionale), uno a zero in finale contro i Randers con gol di Toutouh, manco a dirlo ora al Copenhagen, e quest’anno fuori dai confini nazionali hanno tirato fuori una grinta che in molti non si aspettavano.
Fatto fuori il Saint Etienne nei play-off con una doppia sorprendente vittoria, nel girone C hanno ceduto il passo solo al Salisburgo (che ha chiuso punteggio pieno), riuscendo invece a battere sia all’andata che al ritorno i non certo irresistibili svedesi dell’Elfsborg e i belgi dello Standard Liegi: merito di un bel pubblico caldo e appassionato che gremisce le tribune della Blue Water Arena (18mila posti), di un tecnico preparato di nome Niels Friederiksen (ex Lyngby) e di un 4-4-2 molto quadrato che catalizza il suo gioco nel terminale offensivo Mick Van Buren, pescato nella Serie B olandese e fin qui l’unico capace di buttarla dentro con una certa regolarità (6 gol in campionato e 4 in Europa League). Non sarà particolarmente difficile per Montella e il suo staff preparare al meglio la sfida, le possibilità di andare avanti per la viola sono vicine al cento per cento.
Ludogorets
La Lazio dovrà stare molto molto attenta alla compagine bulgara, praticamente sconosciuta nel panorama calcistico continentale ma da un paio di anni solida realtà in patria e spauracchio di non poco conto anche lontana dalla Bulgaria: nel 2012 da neo-promossa vince il campionato a sorpresa col giovane e rampante Ivaylo Petev in panchina (lui), sorpassando all’ultima giornata il CSKA; lo stesso anno conquista anche la coppa nazionale e la supercoppa, in Champions non supera il secondo turno eliminatorio battuto dalla Dinamo Zagabria, ma si riconferma nel 2013 campione di Bulgaria con un altro sorpasso negli ultimi minuti dell’ultima giornata questa volta ai danni del Levski. Di nuovo fuori dalla Champions League, stavolta ai play-off per mano del Basilea, in Europa League il Ludo non sbaglia un colpo vendicandosi della Dinamo Zagabria, vincendo due volte contro il PSV e meritando il primo posto nel gruppo B avanti al Chornomorets.
Quest’anno l’allenatore si chiama Stoycho Stoev e sta facendo un ottimo lavoro sulla scia di quello del suo predecessore: in campionato è primo con 50 punti in coabitazione col Litex e la squadra gira che è una meraviglia. Marcelinho e Bezjak segnano a raffica, l’olandese Burgzorg si divide tra il centrocampo e lo studio di registrazione (è un rapper col nome d’arte di Priester), il 4-2-3-1 di Stoev funziona grazie anche a una rosa internazionale e molto variegata. A Razgrad, cittadina di 70mila abitanti a nordest del paese, la Lazio non troverà un clima dei più morbidi: non tanto per il pubblico di casa, mai numerosissimo in uno stadio che per altro non può contenere più di 7mila unità, ma per l’entusiasmo del Ludogorets che in due anni è passato dall’anonimato più assoluto a sfide internazionali in cui riesce anche a portarsi a casa scalpi eccellenti. Il discorso è semplice: la squadra di Petkovic è nettamente superiore, ma guai a sottovalutare gli avversari.
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