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Non ce la fa proprio, Carlo Tavecchio, a mettere una pezza all’enorme scivolone che, in un paese “normale”, avrebbe messo la parola fine a qualsiasi pretesa.
Non ce la fa, e rivela una forma mentis tipica dell’occidentale senza problemi che non sa come approcciare un mondo che non conosce.

Cos’ha detto, il favorito alla poltrona lasciata vacante da Abete, dopo l’infelice sparata razzista (per molti una semplice gaffe, per lui solo un concetto mal espresso), per provare a cambiare marcia?

Ecco:

«la mia vita è improntata all’impegno sociale, al rispetto delle persone, tutte, e al volontariato: in particolare in Africa»

Cosa c’è di sbagliato in questa frase? Semplice: tutto quanto.

Lo spiega Bene Cécile Kyenge, con la brevità d’un Tweet:

«atteggiamento paternalistico nei confronti di chi si pensa inferiore e da civilizzare».

E’ così, purtroppo e senza ombra di dubbio. E’ il medesimo atteggiamento di chi va in Africa ed è convinto di far del bene portando magliette di squadre di calcio ai bambini di questo o quel villaggio. E’ lo stesso atteggiamento di chi è convinto che aiutare qualcuno voglia dire dare a quel qualcuno ciò di cui si presume abbia bisogno, invece di metterlo in condizione di far da sé e di decidere di cosa ha bisogno.

Razzista o meno, Carlo Tavecchio non rappresenta alcun cambiamento, né per la FIGC né per l’Italia.
E’, anzi, la fotografia del pensiero medio dell’italiano medio, da dimenticare alla svelta.

Riuscirà, la FIGC, a cambiare passo, aiutata dalla bufera politica e mediatica che si è scatenata contro il presidente in pectore?

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ultimo aggiornamento: 27-07-2014