Metti in campo un Milito più giovane, un Eto’o che si improvvisa anche terzino, un Mourinho che non si vergogna del catenaccio per conquistare prima l’Italia e poi l’Europa. Avrai l’Inter dello storico Triplete. Probabilmente una squadra e un anno irripetibili. Almeno che tu non decida di rimettere in campo quegli uomini e magari anche quel tecnico, per un nostalgico evento che ricordi l’Evento.
E’ quello che in pratica ha annunciato il presidente onorario nerazzurro Massimo Moratti. Una partita per celebrare la vittoria di campionato, Coppa Italia e Champions League. E dentro tutti quelli che possono, compreso capitan Zanetti, che non potrà salutare i tifosi della Curva per colpa della discriminazione territoriale in partite ufficiali. E che forse potrà farlo in questo match del cuore.
Non si sa ancora come e quando. Ma si farà. E questo conta per il tifoso interista che, dopo essersi fatto il fegato amaro per decenni, vedendo gli altri vincere e costretto a rispolverare vecchi filmati in bianco e nero (colore odiato ad Appiano) della Rai per godere delle Coppe Campioni vinte, ha fatto addirittura tris. Tanto da giurare amore eterno a quel Mourinho che tanto sapeva interpretare il ruolo di ‘piagnina’ che all’Inter, diciamolo, sta da favola. Con una differenza, non da poco: gli altri piagnina che l’avevano preceduto perdevano. Lui vinceva.
A quel tecnico portoghese che, in lacrime, lasciò Milano per Madrid. E non lasciò Milano da ladro come un certo Ronaldo il Fenomeno, ma a testa alta. Pur avendo proposto una versione di calcio in bianco e nero. All’italiana, come si diceva un tempo. Con gli attaccanti a fare i terzini, con il contropiede (l’Italia dell’82 ci ha vinto un Mondiale in questo modo), con il pragmatismo. Con quell’accento che sapeva già di presa in giro. Con le prostitute intellettuali, i nemici, i nomi storpiati, i pirla.
Mourinho rese l’Inter non solo vincente, ma anche antipatica. Com’è antipatica la squadra che vince. Che domina. Nell’anno in cui la Juve sta per incenerire quel record di 97 punti, ottenuto però da un’altra Inter – quella del Mancio – senza avversari a fare da avversari, ricordare quel Triplete può essere fondamentale per non rosicare.
A patto che l’Inter non torni a contorcersi nei suoi mal di pancia da nostalgica vecchietta, con scialle in spalla, che guarda vecchie foto – anche se a colori – e versa qualche lacrime sottolineando che quelli sì che erano tempi. Quando il Principe Milito fregava il Bayern Monaco (toh, la squadra seppellita ieri dal Real Madrid), quando Guardiola schiattava di rabbia per quel portoghese che metteva l’autobus davanti alla porta eppure vinceva. Va bene celebrare l’Evento, signor Moratti, ma ora al timone c’è Thohir. L’Inter ha il dovere di guardare avanti per non restare indietro. Senza più Zanetti e Milito in campo. O forse ancora per un’ultima volta. Così, per sfizio. Per un evento irripetibile che, alla fine, è valso forse tutti quei miliardi buttati da una finestra a caccia di una chimera. Ripercorrere le orme del padre.
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