Manaus è la capitale dello Stato Brasiliano di Amazonas con poco meno di due milioni di abitanti, è la centrale operativa del governo brasiliano nella più grande foresta pluviale del mondo ed è caratterizzata da grandi ingorghi di automobili, due sole vie di fuga (una è l’aeroporto, l’altro una grande autostrada che punta dritta verso il Venezuela uscendo dalla foresta) e insetti che si fanno forti dell’imponente Rio Negro: isolata e alquanto fuori mano (dista circa quattro ore di aereo da San Paolo), in passato era una cittadina piccola e ricchissima, in mano ai commercianti europei del caucciù che nel 19esimo secolo costruirono un imponente teatro in cui si esibirono Giuseppe Verdi e Gioacchino Rossini. Nel corso dei decenni la città perse però smalto, fu tagliata fuori geograficamente dalle rotte del commercio (gli inglesi contrabbandarono semi di alberi di caucciù in Malesia dove si trasferirono) e cominciarono a pullulare narcotrafficanti e delinquenti (oggi le carceri sono piene), caratteristiche – insieme al caldo a tratti afoso – che non ne facevano la candidata principale per ospitare partite di un Mondiale. Ma nel pieno boom economico del 2007, quando il presidente del Brasile era Lula e l’Amazzonia poteva risultare una destinazione esotica e fascinosa, il Comitato di organizzazione dei campionati del mondo alla fine decise di inserirla tra le dodici città ospitanti (la Fifa ne voleva 8), così cominciarono ben presto i lavori per ristrutturare il vecchio Estadio Vivaldo Lima, piccolo impianto dove si esibisce il Nacional, la squadra cittadina militante in Serie D dove in passato giocò anche Toninho Cerezo.
Capace di ospitare 42374 persone, dotato di ristoranti, 400 posti auto e svariati ascensori, l’architettura del grandioso impianto (poi ribattezzato Arena Amazonia) si è ispirata alla foresta amazzonica risultando nello stile simile a una cesta indigena: una struttura importante e per molti detrattori fuori luogo, e non solo perché è costata 219 milioni di euro e la vita di quattro operai. Se alla partita di inaugurazione tra Nacional e Remo gli invitati alla festa erano migliaia, poche settimane dopo nella sfida di campionato contro il Sao Luiz tra i quarantamila seggiolini colorati sedevano non più di tremila spettatori, una media consolidata da anni visto lo scarso blasone della squadra locale, numeri che non giustificano l’investimento per la costruzione e gli ulteriori due milioni all’anno per la manutenzione. Ma tant’è, in questo stadio si disputeranno quattro partite degli ormai imminenti Mondiali: Inghilterra-Italia del 14 giugno, Croazia-Camerun del 18 giugno, Portogallo-Stati Uniti del 22 giugno e Svizzera-Honduras del 25 giugno. Quando i selezionatori di queste otto nazionali hanno saputo di dover giocare a tali latitudini non ha fatto certo salti di gioia, alcuni in particolare ci sono andati giù pesante: Hitzfeld, Klinsmann e Hodgson hanno espresso senza giri di parole tutto il loro disappunto per l’impegno in Amazzonia, definendo la scelta di Manaus come “irresponsabile” e “sciagurata“, attirandosi come ovvio le antipatie delle amministrazioni locali (il sindaco cittadino Arthur Virgilio Neto rispose pronto al ct inglese asserendo che “gli abitanti di Manaus possono benissimo fare a meno di un’intera nazione come l’Inghilterra“).
Questo succedeva a dicembre, dopo il sorteggio per la composizione degli otto gironi, poi però gli animi si sono placati e tutti hanno accettato volenti o nolenti la destinazione Manaus, per altro non l’unica ad essere apertamente criticata (Cuiabà e Curitiba hanno una storia simile). E se c’è una persona, un nome, che ha voluto insistentemente che il carrozzone mondiale passasse anche per la foresta amazzonica, non può che esser citato Roberio Braga, da diciotto anni Ministro alla Cultura dello Stato di Amazonas che pur nutrendo dubbi sul futuro dello stadio, difende la scelta di puntare su Manaus come scenario delle gesta di Balotelli, Rooney e Cristiano Ronaldo: “Fino al 1910 in città si parlava francese e viveva l’élite inglese, poi cominciò il declino, fino a quando la dittatura militare decise di promuovere la zona costruendo industrie e attirando di conseguenza molto migranti. Nel 1990 nel teatro si è esibito Placido Domingo e oggi siamo pronti ad ospitare le quattro partite del Mondiale: faremo vedere a tutti cosa sappiamo fare, abbiamo la natura, la tecnologia e la cultura, faremo vivere lo stadio proprio come abbiamo fatto con il teatro“. Ma che ne sarà di questo gigante di pietra dopo il 25 giugno? Le istituzioni non hanno le idee chiare in merito, mentre il popolo, sia chi vive nelle favelas in periferia sia la borghesia del centro storico, osserva il gigante a forma di cesta indigena e scuote il capo: di sicuro verrà usato per le partite del Nacional, troppo poco per giustificare i toni trionfalistici di chi lo ha voluto a qualsiasi prezzo.
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