Gennaro De Tommaso (basta con i soprannomi, almeno qui) si prende un Daspo di tre anni per scavalcamento delle barricate e un’aggiunta di due anni per la maglietta (in base alla norma che lo prevede per «striscioni o cartelli incitanti la violenza o recanti ingiurie o minacce») che indossava sabato sera, con su scritto Speziale libero. Cinque anni in tutto senza poter assistere a una manifestazione sportiva, il massimo stabilito dal legislatore.
«I tifosi che durante Napoli-Cagliari indosseranno la maglietta con scritto ‘Speziale libero’ saranno individuati e saranno sottoposti a Daspo»
Lo ha dichiarato Angelino Alfano, prima della partita del San Paolo di stasera. Stando a quanto si apprende dal Mattino, in tre avrebbero subito il provvedimento.
Ebbene, ci troviamo qui di fronte a qualcosa che non ha niente a che vedere con gli episodi di sabato, con gli ultras, con gli spari o la violenza, ma che afferisce ad altro. Alla libera manifestazione del pensiero. E alla sua repressione.
Diciamolo con le parole dell’avvocato Lorenzo Contucci che, a La Stampa, spiega:
«La libertà di manifestazione del pensiero, quando non diventa apologia di reato, è protetta dall’ombrello dell’articolo 21. Quella maglietta non inneggia all’uccisione di Raciti, ma sostiene l’innocenza di Speziale. Cosa che è legittimo fare anche se c’è una sentenza contraria».
L’articolo 21 della Costituzione – lo riportiamo per completezza – inizia così:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Contucci aggiunge che ci sono già sentenze di Tar e giudici ordinari che, proprio in base a questo principio, hanno annullato Daspo a tifosi che avevano espresso solidarietà a Speziale. E poi chiosa con un’osservazione più che pertinente:
«se si stabilisse il principio che chi contesta una sentenza merita un Daspo, come farebbe Berlusconi ad andare ancora allo stadio?»
Il Daspo per una maglietta (che non è apologia di reato) non è una risposta alla violenza fuori e dentro gli stadi. E’ un atteggiamento repressivo e autoritario; è il pugno di ferro di uno Stato impotente ma violento che tenta di far breccia in aree grige del pensiero e del diritto; è un precedente pericolosissimo.
Non è difficile da capire: «Speziale libero» non è una minaccia, né un insulto, né un’ingiuria, non incita alla violenza: se si può essere sottoposti a un provvedimento restrittivo per la scritta «Speziale libero» oggi, potrebbe accadere domani. Per uno striscione «No Tav» esposto in piazza, per esempio. O per una contestazione che infastidisce. O per uno sciopero.
Ecco perché anche di fronte a fatti che toccano le sfere della moralità e della sensibilità personale e collettiva, a fatti violenti e complessi (complicati ancora di più dalla bagarre politica e mediatica e dal tifo – calcistico, politico o mediatico –, che troppo spesso non aiuta ad esser lucidi) è bene mantenere la freddezza e affermare saldamente un principio di diritto: la libertà di pensiero non può essere sottoposta a misure restrittive.
La libertà di pensiero e di manifestazione del medesimo è un diritto costituzionale.
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