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L’Uefa e il… “razzismo” del FARE (Football Against Racism in Europe)

Tutte le persone hanno diritto di giocare a calcio e di discuterne liberamente, senza paura. Parole sante che ricordano la frase coniata da Pierpaolo Pasolini per descrivere l’essenza del calcio: “Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori”. Il FARE (Football Against Racism in Europe) prende come riferimento lo sport e l’indiscusso spirito universale di unione tra persone di diverse religione, cultura o etnia, per farne un manifesto su cui si fonda il suo progetto. Un obiettivo nobile come la lotta ad ogni forma di discriminazione nel mondo del calcio. La rete è stata fondata a Vienna, nel febbraio del 1999, dopo una riunione tra associazioni varie, calciatori, tifosi di calcio e sindacati.

Il FARE, per i suoi scopi, ha ricevuto il sostegno del corpo direttivo europeo dell’UEFA, di FIFA e Commissione Europea. L’UEFA, in particolare, “delega” formalmente al FARE il monitoraggio di cori offensivi ed episodi di violenza negli stadi europei, durante le partite di coppa. Per intenderci i cori della curva Nord laziale contro i tifosi polacchi che hanno indotto l’organo europeo alla squalifica dell’Olimpico (poi parzialmente revocata) sono stati captati da un ispettore del FARE che ha mandato la segnalazione all’UEFA.

Non sempre le indicazioni dei delegati del FARE si rivelano pertinenti. E’ capitato, ad esempio, di prendere fischi per fiaschi come quando fu segnalato lo striscione “Via Filadelfia n.88″ esposto dai tifosi della Juventus, credendo che con tale numero i sostenitori bianconeri volessero omaggiare la simbologia nazista. Nell’episodio raccontato da Fulvio Bianchi di Repubblica il club bianconero è stato costretto a precisare all’Uefa che quella scritta in realtà richiama ad un indirizzo di una strada torinese, abituale luogo di ritrovo di alcuni tifosi juventini.

Piara Powar, Direttore Esecutivo di FARE Network che ha sede a Londra, ha raccontato in un’intervista a biancocelesti.org di come vengono selezionati gli osservatori. Estrapoliamo un passaggio:

“Selezioniamo gli osservatori a seguito di candidature esterne (il bando si può trovare sul loro sito, ndr), ci assicuriamo che abbiano una cultura calcistica, le necessarie conoscenze linguistiche, obiettività e conoscenze tecniche. Essi devono essere capaci di distinguere le varie sfumature delle manifestazioni di razzismo.
Attualmente abbiamo un gruppo di 50 persone che hanno seguito i nostri corsi di formazione. Non può essere qualcuno di Manchester o Helsinki che va a monitorare la Lazio, ma deve essere qualcuno che conosca la cultura locale. In effetti nell’ultima partita eravamo preoccupati di più per il comportamento dei tifosi del Legia Varsavia perché quest’anno hanno avuto una parte importante…”.

Nell’intervista traspare dalle parole di Powar un malcelato pregiudizio verso le tifoserie italiane, in particolare quella della Lazio. Senza nascondere i reali e gravi problemi del nostro calcio e l’aria che si respira negli stadi italiani, pensiamo che il “colpirne uno per educarne cento” sia un modo poco adatto per affrontare la questione, da parte di un organo che dovrebbe essere super partes. Powar, in un’intervista del settembre del 2012 al Sunday Express, poneva al centro degli obiettivi una punizione esemplare e simbolica per la Lazio. Lo stesso Powar e il FARE finirono al centro delle cronache inglesi in seguito ad una risposta dal tono sicuramente razzista nei confronti di un tifoso del Liverpool di origine asiatica.

Una caduta di stile non seguita da scuse, né da spiegazioni. Risposte e spiegazioni che non abbiamo ottenuto neanche noi dopo la nostra richiesta di intervista. Uno scambio di email durato molti giorni tra la nostra redazione e la segreteria del FARE (le domande spaziavano dalla loro posizione riguardo alle tifoserie italiane, all’omofobia nel calcio, fino all’intrigante riprovazione del FARE verso l’assegnazione dei mondiali a Russia e Qatar), l’accettazione dell’intervista e poi il silenzio assoluto seguito e motivato con un “Siamo troppo occupati in questo momento“. Evidentemente hanno molto da…FARE.



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