Dei corsi e ricorsi storici dalla parte rossonera dei Navigli abbiamo già parlato, eppure nel giorno della presentazione bis di Ricardo Kakà al Milan, a dieci anni esatti da quando Braida e Leonardo portarono a Milanello uno sbarbato campioncino, non si può che pensare alla pompa magna col quale è stato accolto dal popolo del Diavolo, un ritorno come gli altri, quelli che a posteriori risultarono degli autentici fallimenti. La carta d’identità certifica che la trentina è ormai passata, gli ultimi anni iberici fotografano un giocatore formidabile coi piedi, letale nelle accelerazioni ma fragilissimo nella testa prima che nel fisico, da cui un ritorno all’ovile quasi necessario, maieutico, l’ammissione di una mezza sconfitta a prescindere dai Mourinho e dagli Ancelotti, in teoria temibile generale e padre putativo. La colpa forse, più che degli acciacchi e degli allenatori, è stata di Kakà, la colpa – se così può definirsi – di aver mostrato al Bernabeu un gemello sbiadito di quello che sollevava al cielo, da protagonista, Coppe Campioni e Palloni d’Oro. Un Kakà che torna se stesso quando rimette piede in Lombardia e torna ad indossare l’umiltà, che sempre lo ha contraddistinto, col quale ammette:
“A Madrid ho vissuto un’esperienza molto bella a livello personale. A livello professionale invece le cose non sono andate come speravo. Nei periodi di difficoltà sono cresciuto molto, anche nel momento dell’addio. In questi anni ho imparato. Il Real Madrid è una grandissima società e sono felice di aver fatto parte della storia di quel club anche se non come avrei voluto. Sono felice di questi anni, ma per la mia situazione avevo perso un po’ la gioia di giocare a calcio. Ancelotti? Abbiamo parlato molto nel mese che abbiamo vissuto insieme. Il club voleva puntare su calciatore più giovani, abbiamo discusso io e lui e abbiamo scelto insieme di lasciarci. Mourinho? Non è stata colpa sua la mia perdita di gioia nel giocare. Le colpe sono sempre prima le mie. Mi sono sempre messo a disposizione, cercando di lavorare e dare il meglio. Aveva idee diverse. Nessuna colpa a lui, ma anzi mi ha insegnato molto anche fuori dal campo”.
Onesto. E dunque non esente da colpe, le stesse che lo hanno spinto nuovamente in Italia. Per dimostrare, forse prima a se stesso che a chi altro, che Ricardo Kakà non è stato il fenomeno di un quinquennio, anche se rimettendosi in pista di nuovo al Milan, probabilmente ha accettato di marchiare a vita il suo nome con quello del Milan. Baggio, Zidane e Ronaldo hanno saputo cambiare, in fondo Maradona, Platini e Messi no. Ma la loro è tutta un’altra storia: non hanno cercato fortuna lontano dall’amorevole padre, non sono tornati da pentiti figliol prodighi. Dettagli, il futuro è un rettangolo verde, una maglia gloriosa, la sua maglia, seppur un po’ cambiata. Almeno sono cambiati gli interpreti che la riempiranno:
“Tornare a Milano e al Milan è stato qualcosa di speciale. Questi sono giorni veramente belli. Con mia moglie ho rivissuto i dieci anni dal mio arrivo al Milan e le belle sensazioni sono belle allo stesso modo. Tornare a Milanello e rivedere la squadra, mi ha dato la sensazione di non essere mai andato via. Qui ho fatto grandi esperienza e anche a Madrid. Adesso sono io il giocatore d’esperienza e farò il mio compito rispetto a quando ero un ragazzo in uno spogliatoio di grandi campioni. Il Milan è un club vincente e anche se le cose sono cambiate rispetto al passato mi aspetto una squadra che possa fare bene. Sono tornato qua anche per capire cosa questa società per ritrovare la gioia di giocare a calcio”.
Galliani ha la solita faccia di bronzo, quella che in fondo lo rende simpatico. Una faccia italiana e milanista, da inguaribile romantico con un occhio al portafogli, un ottimista che snocciola trionfi di mercato e aneddoti che ormai vengono riciclati:
“Oggi siamo veramente felici di riaccogliere a casa, nel Milan, Ricardo Kakà. La sua è una storia fantastica che non si mai interrotta con il Milan. E’ arrivato da noi nel 2003, poi sei anni meravigliosi e la partenza. Oggi finalmente il ritorno. CI provavamo già da diversi anni. Con lui si è creato un legame affettivo speciale che va al di là dei risultati sportivi. Con lui si è creato un legame affettivo, è entrato nel cuore dei tifosi rossoneri. Non ho mai ricevuto così tanti complimenti per un’operazione di mercato come in questi due giorni. Il ritorno di Kakà ha riportato gioia ai tifosi rossoneri. Anche il presidente Berlusconi era in attesa. Mentre trattavo mi ha chiamato quattro volte. Una cosa mai successa in 28 anni di comune lavoro al Milan”.
Come i numeri, il suo scudo da decine di mesi:
“Voglio adesso far notare alcune cose. Negli ultimi cinque anni il Milan è l’unica società italiana ad aver preso parte alla fase a gironi ogni stagione. In Italia poi negli ultimi cinque anni abbiamo fatto più punti di tutti. Detto questo siamo una società che siamo nel top 7 europeo e la società che ha fatto meglio in Serie A. In tanti dovrebbero ricordarselo. La legge dei numeri dice questo”.
Una festa, con luci e coriandoli. Una festa che pare una recita, il numero di un clown: dietro le quinte, lontano dal palcoscenico, chissà nel camerino, covano le paure di chi sa che non può più sbagliare. Kakà si gioca le residue possibilità di fare il calciatore con gioia. Galliani sa che ha riscaldato una minestra.
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