Mino Raiola non parla di mercato durante i giorni in cui infuriano le trattative, o almeno così ama dichiarare, in compenso non disdegna le domande su tutto il resto. Sulla Gazzetta dello Sport in edicola oggi è stata pubblicata una lunga intervista nel quale il procuratore affronta molti temi che riguardano il calcio italiano e il suo pensiero non è mai banale, come al solito, anche se le sue idee spesso fanno storcere il naso ai tifosi. L’italiano emigrato in Olanda affronta il tema della crisi delle milanesi, ma ne ha anche per Balotelli, una volta punta di diamante della sua scuderia. Inevitabili i commenti sulla sua candidatura alla presidenza Fifa, poi ritirata, e su Blatter, per il quale non nutre certo una forte simpatia.
Le parole che più faranno discutere sono quelle a proposito di Inter e Milan. Le due squadre possono oggi essere definite a ragione come le nobili decadute del calcio italiano. Entrambe, anche se in modo diverso, in crisi e senza un vero progetto da cui ripartire. Per Raiola la soluzione, la via d’uscita a questo momento nero, è una sola: la fusione. Soltanto unendo le loro forze, e i loro fatturati, rossoneri e nerazzurri potranno tornare a competere con le big d’Europa, un’idea che sembra convincerlo particolarmente:
Milan e Inter si devono unire. Sono state le più ricche del mondo ma non sono mai diventate dei club che possano andare avanti senza Berlusconi o Moratti. Quando Galliani mi fa “Eh, ma gli arabi…”, io rispondo “Però ti è piaciuto fare l’arabo per 20 anni”. Oggi solo Londra può permettersi più squadre di alto livello, e pure lì arrancano. O arriva un cinese, di quelli che compreranno tutti gli asset più importanti al mondo, o le milanesi da sole non vanno avanti. E i tifosi o continueranno a vedere due mezze squadre o ne vedranno una sola che potrà davvero lottare con Real e Barça. Se unisci due società unisci pure i fatturati, invece di due club da 160 milioni ne fai uno da 320 e crei un marchio nuovo che può solo crescere.
A sostegno di questa sua tesi svela un retroscena riguardo al tentativo di compare una società in Inghilterra, proprio con l’idea in testa di farne prima di tutto un marchio vincente, un progetto molto simile a quello che stanno portando avanti a Parigi:
Ho cercato di comprare una società in Inghilterra perché credo che ci sia un marchio forte ancora non sfruttato: FC London. È come una marca: Londra, Milano, Roma, Madrid, Barcellona. Il Paris St. Germain, per esempio, vuole togliere St. Germain per essere solo Parigi. E a Milano bisogna fare una FC Milano, unica e identificabile nel mondo.
Ma la crisi di Inter e Milan non è circoscritta al capoluogo lombardo, è anche figlia di un momento negativo che investe tutto il calcio tricolore. Questione di educazione, delle società (la politica dei prestiti a suo modo di vedere è ormai obsoleta) ma anche dei tesserati, ancora troppo poco pronti al mercato globale:
In Italia dovremmo dare un’educazione calcistica. Vale anche per gli allenatori: se non parli inglese non capisci gli stranieri e non puoi esportarti. Un olandese passa la vita a pensare come lasciare l’Olanda. L’italiano si preoccupa che non muoia la mamma. Ma mica per lei, perché poi non ha chi gli fa da mangiare. Altro problema sono i prestiti. Comprare e mandare fuori è una cavolata. Pensate a uno come Coman: se l’anno prossimo non gioca gli consiglio di andare via. Ma non in prestito, a titolo definitivo. Se sono un panettiere e compro la farina, non la mando da un altro panettiere per farla lavorare, me la lavoro io. Un tedesco non comprerebbe mai un giocatore per darlo in prestito, piuttosto non lo compra.
Negativi anche i suoi commenti sulla Roma, quella che dovrebbe essere l’alternativa più lucente allo strapotere della Juventus di questi ultimi anni. Raiola lo dice chiaramente, il progetto giallorosso non lo convince e individua anche un colpevole, non l’unico, e poi svela che in passato ha provato a comprare il club della capitale e non solo quello:
“Il progetto dei giallorossi Roma non mi piace, i giocatori che prendi poi devono giocare. Sabatini è costretto a lavorare in un certo modo, ha un buon allenatore che però i ragazzi non glieli mette in campo. Insieme a Pozzo stavo per comprare il Napoli prima che arrivasse De Laurentiis. Poi l’affarone l’ha fatto Aurelio. Sono stato vicino anche alla Roma, prima degli americani. Avevo quasi firmato, non vi dico chi era il mio socio. Ma Unicredit aveva paura: abbiamo 3000 agenzie a Roma, dicevano, se diamo la squadra a te ce le bruciano.
Inevitabile anche l’argomento Fifa. Qualche giorno fa sembrava che Raiola dovesse correre per la presidenza, poi ha fatto un passo indietro per sostenere la candidatura del presidente della federazione olandese Van Praag. Una cosa è certa: Blatter non gli piace per niente. Se la prende anche con la Figc, colpevole di sostenerlo, e più in generale mette in discussione l’utilità della Fifa stessa:
È una vergogna che in Italia Tavecchio appoggerà Blatter. La federazione dovrebbe prima votare internamente. Anzi, il presidente della Fifa non dovrebbe essere votato dalle federazioni ma dai club. Anche quelli amatoriali. Ma poi visto che Europa, Asia e Africa sono forti, la Fifa a che serve? A organizzare i Mondiali? Non è meglio se ogni 4 anni ci vediamo e decidiamo, e il resto lo facciamo su Skype?
E poi c’è Balotelli, un altro prodotto del made in Italy che non se la sta passando benissimo. Secondo Raiola il problema anche in questo caso non è solo del singolo, quanto piuttosto di una cultura del calcio tutta italiana che ha fatto le fortune della nazionale in passato ma che difficilmente attecchisce al di là della Alpi:
Balotelli è un prodotto tipico italiano che ci rovina ma che ci ha fatto pure vincere quattro Mondiali. Qui vai a San Siro a vedere uno schifo di partita, il Milan vince 1-0 con un gran gol di Balotelli inesistente e prende 7. All’estero non basta, devi giocare. Un giorno litigai con Van Gaal che disse: “Con me Inzaghi non giocherebbe”. Pippo ha fatto centinaia di goal ma all’Ajax gli avrebbero detto: “Gioca a ping pong”. Non penso che Ajax o Barça siano modelli ideali, semplicemente portano avanti solo certi tipi di giocatori. In Italia è più apprezzata l’individualità. Balotelli con Mancini andava d’accordo, lo usava per quello che sapeva fare. Con Van Gaal che ti dice: “Sei parte di un meccanismo”, avrebbe problemi.
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