Nessuno spettro di un Maracanazo bis, la tragedia nazionale che ben 64 anni fa gettò nello sconforto un’intera Nazione dopo il 2-1 dell’Uruguay in una Rio de Janeiro già pronta alla festa; no, i tempi sono cambiati e il Brasile ormai può aspettarsi di tutto, eppure i Mondiali di nuovo in patria irrimediabilmente investono di aspettative e responsabilità l’intero popolo brasiliano che da anni fa il conto alla rovescia per tornare sul tetto del mondo a 14 anni dall’ultimo titolo iridato. Nel 1950 furono Ghiggia, Schiaffino e Varela a zittire il Maracanà, il prossimo giugno il selezionatore del Brasile Felipe Scolari avrà il compito di riscattare quella figuraccia e a sua detta non dovrebbe essere troppo difficile. A Brasilia, al sentire le parole del commissario tecnico, più di un giornalista avrà fatto i debiti scongiuri, la sicurezza dell’ultimo tecnico campione del mondo sulla panchina brasiliana ha sorpreso anche il più ottimista dei brasiliani:
“Siamo tranquilli, la mia missione di vincere il mondiale penso sia ampiamente alla potata. Certo, rispetto gli avversari, ma in tutta franchezza non credo sarà così difficile conquistare la Coppa del Mondo”.
Coraggio e consapevolezza, ma anche una buona dose di ironia perché Felipao subito dopo ha aggiunto:
“Se perdessi il Mondiale, sarei pronto ad andare in Kuwait per chiedere asilo politico…”
La realtà, a ben vedere, è che il Brasile dovrà faticare più di quanto non sia lecito aspettarsi; inserito nel Girone A, non dovrebbe aver problemi a chiudere al primo posto contro Croazia, Messico e Camerun, ma già agli ottavi (che giocherà a Belo Horizonte il 28 giugno) beccherà una tra Spagna, Olanda e Cile, un cliente tutt’altro che morbido, una potenziale buccia di banana su cui scivolare senza troppi complimenti. Anche perché le qualità dei verdeoro sono fuori discussione, ma l’impressione dall’esterno è che non sia propriamente la più forte Nazionale della sua storia. Il bello del calcio, ed era così già nel ’50, è che alla fine la parola spetta sempre e solo al campo.
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