Cesare Prandelli è tornato a parlare dell’avventura della Nazionale in Brasile, e non solo, in un’intervista concessa a Il Corriere della Sera. L’ex ct, da qualche settimana nuovo allenatore del Galatasaray, ha ribadito di essere il responsabile del flop azzurro agli ultimi Mondiali ma ha anche criticato l’interesse ‘particulare’ dei club italiani, rischiando di rappresentare questo aspetto come un alibi:
La Germania, quando ha avuto difficoltà, si è chiesta: qual è la nostra squadra più importante? Non ha risposto Bayern o Borussia. Ha risposto “Germania” e tutti si sono messi al servizio della nazionale. Nelle squadre italiane giocano il 38% di italiani. La stessa Juve ha sei titolari stranieri. Puntare sui settori giovanili!, dicono. Ma se sono pieni di stranieri? Di cosa stiamo parlando?
Prandelli quindi ha parlato delle difficoltà emerse durante il Mondiale definendo il suo progetto tecnico “fallito” perché “pensavamo di giocare in un certo modo e non ci siamo riusciti”. L’ex ct ha raccontato di aver cercato di seguire le indicazioni fornite dalla Serie A nell’ultima stagione:
Ho pensato che, con gente di qualità in mezzo al campo, avremmo trovato facilità di manovra e profondità con gli esterni. Con la Costa Rica non ha funzionato. Avevo Cerci, Insigne, Cassano, Balotelli, quattro attaccanti che in campionato hanno mostrato il loro valore. Non siamo riusciti a creare una palla gol e siamo andati dodici volte in fuorigioco. Ho messo quei quattro e pensavo di vincere la partita. E, ripeto, ho fallito.
Dopo aver bollato Balotelli come un “ragazzo fondamentalmente buono” che però “vive in una sua dimensione che è lontana dalla realtà”, l’allenatore ha rivelato di essersi offeso soprattutto per chi lo ha accusato di essere scappato:
L’idea della fuga. Non è vero. L’ho dimostrato nella mia vita, personale e professionale. È successo a Parma, dopo il crac Parmalat: sono scappati in tanti, io sono rimasto e con la mia squadrettina siamo arrivati quinti. È successo a Firenze. Non sono scappato. Sono rimasto al mio posto da solo, con i dirigenti inquisiti in Calciopoli, e nonostante questo, senza penalizzazione, saremmo arrivati secondi in campionato.
Quindi si è tolto un sassolino dalla scarpa, rispondendo a chi lo considera un mediocre tecnico capace soprattutto di pulire l’immagine dell’Italia con iniziative extracalcistiche:
Dicono che sono un uomo di marketing. Marketing vuol dire portare gli azzurri a Rizziconi (su un campo sequestrato alla ‘ndrangheta, ndr), dai terremotati, negli ospedali dei bambini, ad Auschwitz? Se questo è marketing, lo faccio tutti i giorni! E vorrei che altri lo facessero!
Dopo aver escluso il ritorno sulla panchina della Nazionale perché “il mio tempo in azzurro è passato”, Prandelli ha raccontato che “avevo il bisogno fisico di mettere le scarpette e tornare in campo” quotidianamente. A tal proposito, sulla possibilità di Conte nuovo ct ha fatto notare che la sua carica emotiva “in Nazionale non si può esprimere” anche se “puoi ovviare se hai un blocco di una squadra”.
In chiusura segnaliamo che anche in questa circostanza non è stato chiesto a Prandelli il perché dell’inserimento di Parolo, e non di un attaccante, al posto di Balotelli a inizio del secondo tempo contro l’Uruguay.
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