Il mese più difficile da quando Rudi Garcia si è insediato sulla panchina della Roma sta per volgere al termine, domenica contro il Torino sarà l’ultimo atto di un ciclo negativo che a ben vedere era cominciato prima della precedente sosta quando i giallorossi erano usciti sconfitti dallo Juventus Stadium con convinzioni di forza (anche nelle dichiarazioni post-gara) ma zero punti, un dettaglio trascurato con troppa faciloneria al netto di presunti errori arbitrali di Rocchi. Ma se dopo gli impegni delle Nazionali i capitolini erano riusciti a riprendere la marcia con un netto 3-0 ai danni di un fin troppo remissivo Chievo, la batosta dell’Olimpico contro il Bayern Monaco aveva fatto suonare decine di campanelli d’allarme: troppo netta la sconfitta, imbarazzante la tenuta atletica e psicologica contro i campioni di Germania, uno smacco clamoroso che mal si intonava con le dichiarazioni post-Juve e pre-Bayern, in cui la truppa romanista ripeteva in coro: “Siamo forti, vinceremo lo scudetto e ce la giochiamo con tutti in Europa“.
Il pareggio a reti bianche a Marassi contro la Sampdoria un’altra serata alquanto indigesta, il contentino con la vittoria sul Cesena, poi una doppia mazzata in qualche modo giustificata dal condottiere francese della Roma: per lui perdere contro la terza in classifica, leggasi Napoli, non è una tragedia (ci mancherebbe, eppure il modo ha fatto specie), quindi il 2-0 di ieri sera all’Allianz Arena ha minato definitivamente nelle fondamenta due capisaldi della gestione garciana nell’ultimo anno e tre mesi: autostima e certezze, che si alimentavano a vicenda con una sorta di circolo virtuoso, traendo linfa dall’ambiente esaltato e dalla voglia di alcuni giocatori di emergere. Ma, come detto, la sfida di ieri contro i bavaresi ha finito per instillare nella mente di tifosi e interpreti un certo grado di depressione che a Roma può tradursi in una deflagrazione in negativo: ora, per la prima volta forse da quando è approdato in Italia, tocca a Rudi Garcia e a lui soltanto riprendere in mano le redini del carrozzone.
Neanche il più lucido e realista degli appassionati romanisti ha digerito la partita di ieri sera, più amara forse persino del 7-1 interno di 15 giorni fa: neanche il 30% di possesso palla, solo 2 cross effettuati, 14 tiri in porta (appena 2 ieri) contro i 45 (in 180 minuti) scagliati verso De Sanctis prima e Skorupski poi dall’undici di Guardiola. Ma è stato soprattutto l’atteggiamento a non piacere, una remissività comprensibile dopo lo smacco della partita precedente, ma comunque una resa incondizionata che neanche il Ludogorets o il Bate Borisov avrebbero mostrato tanto alla vigilia, quanto durante i novanta minuti, quanto infine nelle dichiarazioni al triplice fischio. L’altro ieri Garcia parlava di “una possibilità su dieci di fare risultato“, sottolineando fin troppe volte come fosse necessario “limitare i danni“, partendo dunque già sconfitto come dimostrato dalla formazione, con i big lasciati in panchina in vista del campionato, una squadra ultradifensiva che ha atteso per tutta la partita di subire uno o due gol per tornare in Italia col minimo passivo.
E poi, dopo la gara, l’ammissione, una nota stonata che può pure starci ma a un tifoso non fa mai piacere:
“Contro il Bayern non si può pensare di avere un possesso di palla alto. I giocatori hanno fatto le cose giuste a livello difensivo, il problema è che è difficile tenere la palla una volta riconquistata. Anche se un paio di occasioni interessanti le abbiamo avute. Complimenti ai ragazzi, abbiamo fatto la partita che mi aspettavo, anche se abbiamo calciato in porta solo una volta nel finale. Siamo riusciti a cancellare l’immagine dell’andata. Il turn-over? Ho fatto delle scelte per risparmiare alcuni giocatori sul piano fisico. Quelli che non hanno giocato stasera saranno freschi per domenica, contro il Torino”.
C’è qualcosa che non torna, non fosse altro perché la spavalderia di Garcia era marchio di fabbrica appena un mese fa, per questo il timore dei romanisti è che tanti proclami alla fine potrebbero rivelarsi un pericoloso boomerang, col gruppo incapace di gestire la pressione, col Torino che incombe, poi le trasferte delicate di Bergamo e Mosca. E’ il suo turno e solo il suo, i bonus sono finiti, il timoniere ha in mano il destino della nave: primo obiettivo raggiungere sani e salvi il porto domenica sera, poi fare quadrato per un mese – fino a Natale – da dentro o fuori.
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