Per l’Antitrust i criteri di ripartizione dei diritti tv nel mondo del calcio sono da rivedere in più punti, il sistema adottato negli ultimi anni che prevede una ripartizione collettiva non è ancora tale da permettere una reale concorrenza e tende a premiare maggiormente i club più ricchi e potenti. Attualmente tutti gli introiti provenienti dalle tv, epurati da ciò che spetta alle società retrocesse, vengono divisi in tre parti: la prima, parì al 40% del totale, viene poi suddivisa in parti uguali tra i 20 club di Serie A, le altre due fette, pari entrambe al 30%, sono invece assegnate tenendo conto del bacino d’utenza delle singole squadre (25% conteggiato sul “numero” di tifosi e 5% sulla popolazione del comune in cui gioca la squadra in questione) e dei risultati sportivi (quest’ultima quota si compone a sua volta di tre parti: il 5% tiene conto dei risultati nella stagione, il 15% di quelli nei cinque anni precedenti, il restante 10% di quelli storici a partire dal 1946/1947).
Un sistema che non si può certo definire lineare, ma per rendere tutto più chiaro basti pensare che, secondo alcune simulazioni, la società che incassa di più, la Juventus, guadagna quattro volte in più di quella più “povera”, quest’anno è il Pescara. Per questo l’Antitrust, con una lettera inviata al Parlamento e al Governo firmata dal presidente Pitruzzella, ha fatto notare tutti gli aspetti poco chiari e da rivedere dell’attuale normativa per la ripartizione dei diritti tv. Inoltre, come si legge nella missiva, viene contestata anche la posizione della stessa Lega Calcio come soggetto che si occupa di tale ripartizione: c’è dunque la necessità di un soggetto terzo, totalmente svincolato dai vari club, che possa stabilire le regole e occuparsi dell’assegnazione.
L’Antitrust prova a anche suggerire delle direttive. Bisogna premiare maggiormente il merito sportivo, togliendo però quel riferimento ai risultati storici a partire dal dopoguerra. Allo stesso tempo non ha senso parlare di meriti demografici, il bacino di utenza pesa troppo sulla somma finale, tale criterio andrebbe eliminato o reso meno incisivo: “[Il bacino di utenza] non risulta direttamente riferibile al risultato sportivo, visto che il numero di spettatori cui può fare affidamento una società di calcio sfugge alla logica meritocratica. È dunque necessario rivedere l’opportunità di mantenere tale criterio di ripartizione, o quanto meno di limitarne ulteriormente l’incidenza rispetto a quello che premia i risultati”.
Secondo l’autorità garante il profitto di una società sportiva dovrebbe dipendere dalla competitività dei concorrenti poiché “un evento sportivo ha una maggiore attrattiva quando c’è equilibrio tecnico tra le squadre e quindi incertezza sul risultato”. Un sistema che premierebbe maggiormente il merito sportivo porterebbe ad un maggiore equilibrio, dal quale ne deriverebbe anche uno stimolo ad ulteriori investimenti nel mondo del calcio da parte di nuovi competitors. Attualmente invece viene premiata la storia e la notorietà delle società rendendo di fatto la scalata da parte delle società minori lunga e ardua. Tanto per fare un esempio guardando ad un campionato estero basti pensare che in Inghilterra il club più ricco, il Manchester United, guadagna 60,6 milioni di sterline, mentre il Wolverhampton, che è la Cenerentola della Premier League, riesce a portare a casa 39,1 milioni.
A prescindere da quali nuove regole vorrà darsi il calcio è comunque fondamentale che la ripartizione dei proventi dalla vendita dei diritti tv sia effettuata da un organo esterno alla Lega Calcio, per garantire equità e imparzialità, al momento infatti “la Lega, in quanto composta da organi in cui siedono esponenti delle singole squadre, non rappresenta infatti il soggetto nella posizione migliore per dettare le regole di ripartizione delle risorse, posto che talune società potrebbero trovarsi nella condizione di influenzare a loro vantaggio tali scelte”. Considerando quanto è stato lungo e difficile il percorso per raggiungere l’accordo attualmente in vigore, le indicazioni dettate oggi dall’Antitrust non possono che preannunciare nuove battaglie.
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