Secondo le agenzie di stampa polacche sarebbero almeno dieci i tifosi laziali condannati dai giudici, per pene che vanno dai 2 ai 6 mesi di carcere. Le accuse variano dall’aggressione a pubblico ufficiale, all’uso di passamontagna, che la legge polacca punisce con particolare severità. La testimonianza di un agente di polizia durante i processi che ancora oggi si stanno tenendo a Varsavia, sarebbe stata determinante. Il ministro degli Esteri Emma Bonino, riguardo la vicenda degli scontri (o presunti tali) tra i tifosi laziali e la polizia polacca in occasione della gara di Europa League tra i biancocelesti e il Legia Varsavia, ha dichiarato:
“Una sessantina di tifosi sono in stato di fermo e sono in corso i processi per direttissima. Non è escluso che qualcuno di essi possa aver realmente commesso qualche reato. Ho incaricato il nostro ambasciatore affinchè faccia rilasciare tutti coloro i quali non hanno alcuna responsabilità penale”.
Oggi, a distanza di molte ore dai fatti accaduti a Varsavia, è intervenuto anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino:
“Ho contattato telefonicamente il Ministro degli Esteri, Emma Bonino, per conoscere la situazione dei 107 cittadini romani trattenuti a Varsavia. Il Ministro mi ha confermato che è attiva l’unità di crisi alla Farnesina. Proseguono, intanto, in maniera costante i contatti tra l’ambasciata italiana e le autorità polacche. Il ministero degli Esteri mi ha fornito notizie confortanti sulle condizioni dei tifosi della Lazio e mi ha rassicurato sul fatto di aver attivato tutte e procedure necessarie per favorire il loro rientro a Roma nelle prossime ore”.
Alcuni tifosi, tra i quasi 200 fermati, sono riusciti a rientrare a Roma. “Ci hanno trattato come prigionieri di guerra, senza diritti, ammassati a fine partita vicino ad un fiume con i cani della polizia che ci saltavano addosso. Noi siamo andati all’appuntamento fissato e come siamo arrivati la polizia ci ha fermato in un vicolo. Ci hanno tenuti lì per 40 minuti per controlli, poi ci hanno portati allo stadio. Ma sono stato solo fortunato, perché tra i 120-150 fermati ci sono alcuni amici, ragazzi che non hanno mai girato con coltelli o bastoni ma che sono stati portati via solo perché stavano nel gruppo che marciava con il corteo”. E’ la denuncia di Riccardo, intervistato da Radio Capital (interviste riportate da sslaziofans.it). L’avvocato Mikolaj Wojciechowski si è incaricato di difendere alcune persone nei tribunali polacchi (qui la sua intervista).
Stefano, ai microfoni di ‘Radiosei’:
“Mercoledì sera ci hanno intimato di non uscire dall’albergo. Sono andato con degli amici in un locale, e per strada dei tifosi in macchina ci hanno insultati e fatto dei gestacci. Siamo tornati all’hotel e lì ci sono stati degli scontri. Giovedì sono andato a vedere la partita, non ho partecipato al corteo, ma eravamo controllati e ci stavano aspettando. I poliziotti avevano il lanciafiamme, caschi protettivi e maschere stile Batman. Il tifo polacco è violento ma noi non stavamo facendo nulla. Nel punto d’incontro c’erano persone tranquillissime: donne, bambini, ragazze. Ma tutte sono state portate in caserma”.
Le parole di Alessandro Nicoloso, broker per lavoro e una passione per la musica:
“Ti assicuro che non avevo mai visto nulla del genere. Noi ci siamo salvati solo perché nel nostro gruppo c’erano molte donne e quindi abbiamo evitato il corteo. Ma non è successo nulla di grave, te lo assicuro. E il clima era ostile fin dall’inizio. Perquisizioni ovunque, test su alcol e droga fatti prendendo le persone a caso in mezzo al gruppo, pensa che a mia sorella hanno sequestrato addirittura gli adesivi della Lazio e a me lo stendardo ‘brigata Santa Klas’ solo perché all’interno c’è un teschio. Una follia, arresti di massa che neanche al G8 di Genova e lì successe di tutto, mentre a Varsavia non è successo nulla, non c’è stato neanche un ferito tra i tifosi del Legia o tra le forze dell’ordine. E questo la dice lunga”.
Claudio Flore, impiegato 27enne. E’ romano, ma vive a Como:
“Siamo stati trattati da animali. Cose che in Italia sarebbero classificate come violazione dei diritti fondamentali e della libertà personale. Perquisizione in albergo e occhi addosso ovunque. Noi siamo nell’occhio del ciclone e in alcuni casi ce la siamo anche voluta, ma da nessuna parte mi era mai capitato un trattamento del genere. Quattro perquisizioni in 3 metri prima di entrare allo stadio, etilometro, all’uscita scortati per step a gruppi di cinque verso i taxi, insultati dai poliziotti e poi abbandonati per la città, come se non fosse bastato quello che era successo prima, dopo alcuni ragazzi sono stati portati in bocca agli ultras del Legia a prendere le botte. Quelli del Legia si sono permessi quello che hanno visto tutti a Roma, hanno imperversato in città completamente ubriachi e nessuno ha fatto nulla, mentre noi per una birra venivamo fermati. È vero che c’è stato qualcuno che da sotto l’Hard Rock Café ha tirato dei sassi contro una camionetta, ma siamo stati fermati tutti, ci hanno buttato per strada come bestie, ammanettati. E solo alcuni sono riusciti a vedere la partita. Un trattamento disumano in quel freddo assurdo. E poi devo anche leggere sui giornali che siamo stati noi a creare casini per la città! Spero che darete la voce anche a noi che abbiamo la bocca tappata da questo sistema che ci considera scomodi”.
Mirco Marchitti, 37enne romano di nascita, ma milanese di adozione ha 37 anni:
“E’ stata una vera e propria retata, un’azione di stampo militaresco. Presi, buttati a terra e caricati sui cellulari e portati via. Alcuni più fortunati sono riusciti a scappare, tanti no, tra cui un mio amico che fino alle 21 era ancora in stato di fermo e che poi non sono più riuscito a sentire. Allo stadio all’ingresso ci hanno fatto l’alcol test, il droga test con un tampone, alcuni sono stati costretti anche a spogliarsi all’aperto, con la temperatura sotto zero. All’uscita non ti dico, ha iniziato pure a piovere ed eravamo tutti li al freddo. Ci hanno portati fuori dallo stadio e ci hanno fatto fermare in una stradina. E da li ci ‘liberavano’, perché il termine esatto è proprio questo: 4/5 alla volta e caricati su un taxi. Noi siamo stati tra i primi 150/200 forse e siamo andati via alle 23.20, qualcuno è rimasto li fino all’1 di notte. Ed è continuata questa mattina all’aeroporto, dove appena scoprivano che eri italiano e non polacco ti facevano spogliare. Mai vista una cosa del genere, […] di un paese che si definisce civile. Poi le bestie siamo noi”.
Le parole di chi è rimasto a Varsavia. Federico, 23 anni, romano, è quasi disperato:
“Qui non si capisce nulla, non si sa cosa dobbiamo fare. Non ho notizie di due miei amici da 24 ore. Sono andato tre volte in ambasciata ma non si sbilanciano sui tempi e non ti dicono nulla su come stanno le persone in stato d’arresto. In tibunale oggi hanno finito i processi di alcuni dei 17, trattenuti perché non hanno da pagare i 1600 zloty di multa. Mentre altri ragazzi sono usciti pagando soltanto 200 zloty di multa. In caserma non mi rilasciano informazioni perché non sono un familiare. Risultato: sto da solo a Varsavia, con un volo spostato e due persone che non so quando possono uscire”.
Il racconto di Alvin, un utente del forum Lazionet:
“Siamo rientrati da poco più di tre ore da Varsavia. Due giorni che ora dopo ora si sono trasformati in un incubo.
Partire da Roma con molte persone e alcune di loro non vederle con il volo di ritorno. E’ stato veramente duro.
Un’atmosfera pesante, triste, sembrava quasi che ci contassimo tra di noi per vedere se ci fossimo stati tutti. Ci cercavamo, scambiandoci le notizie e cercando di sapere dagli altri qualche informazione in più. E’ stata un’azione premeditata; ha dato l’impressione che tifosi del Legia e polizia avessero operato insieme come nei fatti che hanno preceduto la giornata di ieri. E’ stato vergognoso! Siamo stati intimiditi, provocati, insultati, trattati come delinquenti, dati quasi in pasto a una tifoseria che, come dimostrano i dati, è tra le più violente. Noi siamo stati fortunati, perchè avevamo prenotato un taxi provato e, partiti in ritardo dall’hotel, l’autista ci ha portato direttamente nel settore ospiti, dove siamo stati subito portati dentro dalla polizia; dove abbiamo subito, come tutti, due perquisizioni, il controllo del tasso alcolemico, ci hanno fatto togliere le scarpe, ci hanno ripreso e sempre con atteggiamento niente affatto socievole, coadiuvati da qualche agente della polizia italiana, come testimoniava il chiaro accento romano. All’uscita il copione non è cambiato, anzi. Ore di attesa al freddo; usciti a gruppetti di cinque/sei, nuove riprese e perquisizioni, cani chiaramente aizzati apposta mentre si passava per un nuovo sbarramento che ti constiva solo di uscire se c’era un taxi o se c’era quello che avevi prenotato, ovviamente senza scorta. Ma le testimonianze dei ragazzi, delle persone, che hanno vissuto un pomeriggio da incubo nelle strade di Varsavia sono agghiaccianti. Fermi preventivi e indiscriminati, violenze gratuite, provocazioni continue. Tassisti che lasciavano gruppetti isolate davanti alla curva dei tifosi del Legia… e che dire delle persone che segnalavano nei vari alberghi la presenza dei tifosi? Se poi qualcuno non è riuscito a mantenere la calma, non sorprende davvero!
E poi bastava vedere qualche prima pagina dei giornali di Varsavia questa mattina per rendersi conto di quella che è stata un’azione premeditata. Un signore di Catania, incontrato in aeroporto, che lavora da qualche tempo in Polonia, mi diceva che la polizia non aspettava altro. E’ vero, qualche volta gruppetti di tifosi in trasferta hanno dato adito a qualche azione della polizia, ma stavolta è andata in maniera completamente diversa.”
Attilio, del “forumlazioultras”:
“Ho provato a farli ragionare, e So solo che in 5 minuti mi sono trovato dietro le sbarre senza spiegazioni che sono poi arrivate alle 2 di notte circa 10 ore dopo dal fermo…Una parte di noi è uscita, dopo 2 giorni senza mangiare , bere, e con i pianti di una ragazza di 20 anni messa da sola in cella che ti facevano male al cuore, ma non riesco ad essere contento e godermi la ma il pensiero va ai tanti ragazzi che gli hanno confermato l’arresto, senza motivo, senza prove, li in balia di una giustizia finta, senza prove,abbandonati da chi ci doveva tutelare e garantire l’essere per primo cittadini italiano… Ragazzi e dura dura ma non mollate!!!! Attilio, augusto,sandrino e fabio biella”
Flaco 73, utente di “forumlazioultras”:
“Ciao Attilio da giovedì per me ed i miei amici sei “il negoziatore”!
Quello che è successo è difficilmente raccontabile, Attilio si è adoperato per spiegare ad una guardia(l’unica che parlava uno stentato inglese) che noi stavamo solo camminando per andare allo stadio, e che loro ci avevano bloccato e messo in un gruppo di altri ragazzi già fermati e circondati da 30 guardie. Alla fine eravamo circa 80 persone (tra cui un signore e quella ragazza di cui parla Attilio) siamo rimasti circondati ed in piedi in un vicolo dalle 16 alle 18.30, mentre arrivavano camionette su camionette a sirene spiegate…alle 18.30 la stessa guardia ci ha detto che ci avrebbero portato in commissariato per identificarci(ordini del suo superiore). A quel punto Attilio ha chiesto di parlare con il superiore, per tutta risposta lo hanno caricato su una camionetta e portato via!
Dopo un po’ ci hanno identificato a tutti(con la televisione polacca che faceva le riprese zoomando sui nostri passaporti) e a gruppi di 15 persone ci hanno caricato sulle camionette per portarci in vari commissariati. La ragazza che dice Attilio la volevano mettere nella nostra camionetta in una delle 3 celle singole chiusa con un solo piccolo spiraglio in alto per respirare. La ragazza è scoppiata a piangere e per fortuna l’hanno fatta scendere, io ero sicuro l’avessero liberata…Quello che è successo dopo tra commissariati, manette, perquisizioni, identificazioni durate una notte e cella d’isolamento non potete nemmeno immaginarlo, io sono arrivato in commissariato alle 20 e mi hanno portato in cella alle 10 del mattino…dico solo che per uscire con il rito abbreviato siamo stati costretti a dichiararci colpevoli, altrimenti dovevamo tornare il 14 Dicembre per il processo dove sicuramente avremmo trovato una guardia pronta a testimoniare che ci aveva visto lanciare pietre.”
Annalisa Compagno, madre di Federico D’Alessandro, 22 anni, uno dei tifosi biancocelesti fermati prima della partita di Europa League Legia Varsavia-Lazio, sabato condannato a tre mesi di carcere e attualmente detenuto in Polonia: ”Ora mio figlio è in carcere insieme ad altre 21 persone condannate in un processo in cui non c’è stata nessuna responsabilità individuale accertata, non c’è stato nessun avvocato, non c’era nessuno dell’ambasciata in Tribunale”, sottolinea la madre del giovane.
”L’impressione – sottolinea Annalisa Compagno – è che questa vicenda sia stata gestita in maniera veramente superficiale. Io vorrei che i fatti fossero approfonditi, che non si liquidasse la questione come una storia di tifoseria violenta, perché questi sono ragazzi incolpevoli. Lo hanno detto perfino i poliziotti durante il processo. Mio figlio è uno studente universitario, un bravissimo ragazzo che ama andare allo stadio e non ha precedenti, e anche gli altri sono tutti ragazzini”.
“La polizia ci ha circondati e non potevamo andare da nessuna parte. Siamo rimasti li per due ore. C’eravamo io, i miei amici polacchi e cento tifosi italiani. Siamo stati calmi e facevamo tutto quello che la polizia ci diceva di fare. Arrestati perché disturbavamo la quiete pubblica? Personalmente noi non abbiamo neanche gridato”. Si aggiungono altri tasselli, altri racconti,a ricostruire questo mosaico, questa penosa avventura polacca. Przemyslaw Orzechowski è di nazionalità polacca e tifa Lazio. Ed insieme ad altri 8 tifosi biancocelesti polacchi è stato fermato giovedì dalla polizia: “Sono un tifoso della Lazio, non era la prima volta che andavamo a vedere una partita. Io e altri miei sette amici ci siamo aggregati ad altri tifosi della Lazio che sono arrivati dall’Italia. Siamo partita dall’Hard Rock caffè come ci era stato detto dalla polizia polacca che abbiamo incontrato alcuni metri prima per strada. Qualcosa davanti a noi è accaduto, ma io non ho visto niente. La gente diceva che un gruppo di laziali aveva gettato contro i poliziotti pietre e bottiglie di vetro. Ma io per strada non ho visto una bottiglia di vetro rotta“.
Caricati in macchina, Przemyslaw Orzechowski insieme a 5 altri ragazzi, di cui uno italiano, vivono una lunga attesa prima di venir trasferiti in caserma: “Io, quattro amici e un tifoso della Lazio siamo stati in una caserma. Siamo stati chiusi per venti minuti in una macchina della polizia da soli senza nessun poliziotto. Così ho telefonato con il mio cellulare il 997 (numero della polizia polacca, ndr) e ho detto che c’erano i finestrini chiusi e stavamo soffocando. Il centralino ha passato l’avviso nelle varie radio della polizia e dopo cinque minuti sono tornati in auto per accompagnarci alla caserma“.
E poi, il racconto continua. Narra del diverso e sconcertante trattamento della polizia locale subito dai tifosi italiani rispetto a quelli polacchi: “Quando siamo arrivati hanno isolato il ragazzo italiano, mentre io e miei amici siamo rimasti insieme. Dicevano che l’italiano non può né bere nè fumare. A noi permettevano di comprare qualche coca cola e di fumarci delle sigarette con l’assistenza di un poliziotto. Hanno fotografato le nostre facce con i cellulari. E solo dopo ci hanno detto che eravamo li perché avevamo disturbato la quiete pubblica. Alle 4 di mattina ci hanno trasferito nella prigione di Bialoleka. E dopo 48 ore ci hanno portato in tribunale. Ho incontrato alcuni italiani che mi hanno detto che in due giorni avevano bevuto solo tre bicchieri d’acqua. Il giudice invitava gli italiani a dichiararsi colpevoli e hanno anche pagato multe salate. Anche io e miei amici eravamo stati arrestati per gli stessi motivi, ma in tribunale contro di noi non c’era nessun testimone e così ci hanno lasciati liberi. Non abbiamo pagato nessuna multa“.
Una vicenda inquietante e Przemyslaw Orzechowski non ha dubbi quando condanna il comportamento delle forze dell’ordine: “La polizia non si è comportata in modo corretto, perché non potevano arrestarci. Ho sentito dire che ad alcuni italiani neanche l’interprete gli è stato dato e molti non potevano chiamare i loro familiari o l’ambasciata. Questo è veramente strano“. Tanti i punti da chiarire, tanti i dubbi su questo episodio andato in scena a Varsavia: “Vi posso garantire che prima della partita i tifosi della Lazio erano tranquilli. Solo un gruppo di 20-30 persone ha creato qualche problema, ma alla fine hanno fermato tutti. Ancora oggi non mi riesco a dare una spiegazione di questo fermo, e perché alla fine non ho visto una partita di calcio. I poliziotti ci hanno detto che questi erano ordini che arrivavo dai loro superiori. Questa è una cosa veramente stupida. I tifosi polacchi sono solidali con gli italiani, auguro a tutti i tifosi della Lazio buona fortuna“.
Il primo consigliere dell’ambasciata italiana in Polonia Luca Lepore: «La situazione è molto complessa – ha ammesso il funzionario ai microfoni di Radiosei – ci sono tre persone condannate a due anni con la condizionale. Hanno patteggiato la pena, sono stati rilasciati e sono tornati in Italia: se non commetteranno altri reati in Polonia eviteranno il carcere. Altri quatto ragazzi (tra cui Damiano Stazi, di cui raccontiamo la storia nel pezzo a fianco, ndr) hanno ricevuto condanne per direttissima da tre a sei mesi con convalida d’arresto. Ora sono seguiti da un avvocato, domani (oggi, ndr) faranno istanza d’appello per essere rilasciati sotto cauzione».
La ricostruzione degli avvenimenti fatta da Lepore, però, è ancor più sconcertante. «Cosa è accaduto? In quella che è stata definita eufemisticamente un’azione preventiva – ha spiegato il primo consigliere dell’ambasciata italiana a Varsavia – sono state fermate oltre 150 persone, l’85 per cento delle quali non c’entravano assolutamente nulla». Può sembrare incredibile, ma è tutto vero. «Ora – ha aggiunto Lepore – vogliamo assicurarci che i ragazzi possano uscire dal carcere il prima possibile. Dopo verificheremo se le eventuali condanne possano tramutarsi in una pesante ammenda o riassorbite dalla condizionale, dato che stiamo parlando di ragazzi incensurati».
«Stiamo vivendo un dramma, mio figlio è finito in una cella con un pregiudicato serbo condannato a quindici anni di reclusione». A parlare è Gianni Stazi, padre del 25enne Damiano, volato a Varsavia per la prima trasferta al fianco della Lazio e ora chiuso in un carcere senza aver fatto nulla. Damiano è uno dei sette italiani condannati dalla giustizia (si fa per dire) polacca: tre mesi di reclusione e un compagno di cella «poco raccomandabile». La colpa? Essersi trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Perché, a sentire il racconto del padre volato in Polonia per aiutare il figlio, altre colpe Damiano sembra proprio non averne.
«Damiano è partito giovedì con un amico – racconta Gianni – una volta arrivati a Varsavia hanno raggiunto l’Hard Rock Cafe, punto di ritrovo dei tifosi della Lazio. Da lì si sono avviati verso lo stadio, ma poco dopo è scoppiato il caos. Alcuni ragazzi hanno lanciato sassi verso la polizia e poi sono scappati verso il gruppo dove c’era anche Damiano. Lui ha provato a scappare, ma è stato fermato dalla polizia, buttato a terra e ammanettato». Da quel momento è cominciato l’incubo. «Damiano è stato portato in un commissariato insieme all’amico – prosegue Gianni – e da quel momento ho perso i contatti con lui. Ho chiamato la Farnesina e l’ambasciata italiana, ma solo il giorno successivo mi hanno confermato il fermo. A quel punto ho cercato un avvocato e prenotato l’aereo per il sabato mattina».
La corsa contro il tempo ha portato papà Gianni in tribunale, proprio mentre giudicavano il figlio. «L’hanno processato insieme ad altri quattro ragazzi – racconta Gianni – tra i quali un minorenne. Tutti hanno confessato una falsa colpevolezza su consiglio del loro avvocato, dichiarando di aver lanciato sassi contro la polizia. “State tranquilli”, ha detto loro il legale polacco, “se raccontate queste cose ve la cavate con una multa”. Invece sono finiti in carcere, condannati a tre mesi di reclusione». La stessa pena stabilita dal giudice per Damiano. «Ma lui ha detto la verità – spiega Gianni – perché non ha fatto nulla. Anche quattro poliziotti polacchi hanno testimoniato a suo favore, assicurando che lui non ha lanciato oggetti contro le camionette. E la stessa cosa ha raccontato l’amico, processato il giorno prima e condannato “solo” per schiamazzi. Ma il giudice lo ha condannato ugualmente».
Ora Damiano si trova in carcere, chiuso in una cella insieme al pregiudicato serbo, e Gianni è comprensibilmente preoccupato. «Stamattina (ieri, ndr) sono andato a trovarlo – racconta il padre – l’ambasciata italiana si è mossa con ritardo, ora mi sta aiutando. Ma io sono preoccupato. Come è possibile condannare un ragazzo senza colpe? Come è possibile gettarlo in una cella insieme a un pregiudicato? Io ho paura, potrebbe violentare Damiano». La speranza di papà Gianni è legata all’avvocato polacco: «Il giudice ci ha rifiutato persino i domiciliari – spiega Gianni – nonostante un mio amico polacco, direttore di un ospedale pediatrico, si era offerto di “ospitare” Damiano. Va bene anche una cauzione, qualunque cifra: voglio tirar fuori mio figlio. Ora presenteremo una nuova istanza e poi ci sarà l’appello. Ma ci vogliono quindici giorni: non posso pensare che mio figlio debba rimanere due settimane in cella con quell’uomo?». (fonte “Il Tempo”)
Giovanni
“io ero accanto a Stefania e Daniele.
ci siamo trovati in questa situazione perchè la polizia ci aveva detto che era un normale controllo di documenti.
Siamo rimasti li un paio di ore..dopo di che è arrivato l’ordine di portarci tutti in commissariato..tutti in stato di arresto.
una volta arrivati in commissariato ci hanno fatto sedere per terra e ‘sorridenti’ ci dicevano di stare tranquilli.
senza cibo e senza acqua siamo rimasti li per altre 4 ore fino a che non ci hanno trasferiti nelle celle.
nessuno di noi era riuscito a mettersi in contatto con l’ambasciata,ci facevano firmare un foglio,tramite la traduttrice, di colpevolezza in modo che poi saremo usciti tutti il giorno dopo sotto cauzione.
nelle celle eravamo tutti soli,non potevamo comunicare tra noi,ed eravamo senza acqua, dovevamo bere una sorta di the e mangiare un pezzo di pane e un pezzo di burro o roba simile.
nel distretto che hanno portato me e anche Daniele, per quanto mi riguarda sono stato deriso e dato del fascista.
inoltre la mattina prima di essere portato in tribunale sono stato svegliato dalla guardia che ‘sorridente’ mi diceva che li ci saremmo rimasti 10 anni.
siamo stati processati senza avvocati e con testimoni solo poliziotti.
io ,come molti altri, siamo stati rinviati a giudizio per insufficienza di prove.”
“Mi hanno fatto l’ispezione anale, come con i trafficanti di drogaà Chiedevo acqua dicendo ‘water, water!’, ma niente… hanno costretto un altro ragazzo a fare le flessioni, le ha fatte nudo. Ho capito cos’è il terrore”. Parla così David D., con le lacrime agli occhi, il ventenne romano appena rientrato dalla Polonia, uno dei tifosi laziali che hanno fatto rientro a Roma, dopo la terribile esperienza del fermo preventivo, intervistato in esclusiva da IntelligoNews. Sono 23 quelli ancora in cella. “L’inferno, sì l’inferno è iniziato nel pomeriggio di giovedì 28 novembre, quando ci hanno fatto salire dopo quattro ore su dei furgoni. Io avevo paura, non riuscivo a salire su quello in cui mi volevano far entrare, gridavo che soffrivo di claustrofobia” ricorda David come gli altri ha subito poi un processo per direttissima: “Mi chiedevano se avevo moglie, figli a carico e immobili; erano interessati solo alla mia condizione economica”. Poi ha spiegato di vivere ancora sotto choc: “Stanotte mi sono svegliato urlando,
mi sembrava di essere ancora in cella. Poi ho visto le mura di casa ed ho tirato un sospiro di sollievo”.
23 dicembre 2013 – Nicolas fa parte del gruppo dei 12 ragazzi che hanno fatto ritorno a casa dopo aver patteggiato la pena (600 euro di multa, 2 anni con la condizionale e tre anni di Daspo da scontare in Polonia). La sua testimonianza rilasciata ai microfoni di Lalaziosiamonoi.it:
Innanzitutto, come stai?
“Sto bene, il ritorno a casa ha un sapore particolare dopo quello che è successo”.
Come è avvenuto il tuo arresto?
“Ero verso la fine del corteo e ho visto un po’ di confusione davanti. Mentre correvo con gli altri laziali mi hanno fermato e mi hanno messo faccia a terra. Ho visto anche un poliziotto in borghese che colpiva alle spalle dei ragazzi con un manganello spagnolo, voleva farli cadere”.
Dopo l’arresto dove ti hanno portato? E cosa è successo?
“Ero in una camionetta della polizia con una decina di laziali. Ci hanno portato in questura dove prima di tutto hanno controllato i nostri documenti e ci hanno fatto svuotare le tasche. Poi per tutta la notte hanno fatto foto e hanno preso le impronte digitali”.
Come ti hanno trattato?
“Ci hanno lasciato le mani legate a un laccio di plastica per circa 2 ore. Poi ci hanno messo le manette, non potevamo parlare e ci prendevano anche in giro. I poliziotti stavano scrivendo qualcosa, poi ho capito dopo che stavano scrivendo le accuse nei nostri confronti e stavano scegliendo chi accusare, cioè tu prendi lui io lui e così via. Noi eravamo stesi per terra e i poliziotti ci guardavano mentre scrivevano”.
Sceglievano chi accusare senza una logica, a caso?
“Direi di sì perché il poliziotto che mi ha accusato al tribunale l’ho visto per la prima volta il giorno del processo e non durante l’arresto. Mentre lui diceva di averci visto lanciare delle bottiglie e che era stato lui stesso ad arrestarci”.
Poi al carcere di Bialoleka cosa è successo?
“Fortunatamente io stavo in cella con due italiani. Quando facevamo domande in inglese gridavano in polacco facendo finta di non capire. La cella era piccola, sporca, come le coperte e le lenzuola. Anche i piatti non erano puliti, e all’inizio non avevamo nemmeno la carta igienica né una saponetta. Si poteva fare una doccia calda a settimana, l’acqua della cella era freddissima. La prima doccia calda era bollente, poi sono rimasto nove giorni senza poter fare la doccia perché avevamo cambiato cella. Ci siamo aiutati tra laziali, ci siamo fatti forza l’un l’altro”.
Hai saputo degli articoli della stampa polacca che definivano i tifosi laziali viziati? Hanno scritto che dormivate un quarto d’ora in più degli altri detenuti…
“Io sinceramente dormivo, con difficoltà ma dormivo. Pero c’è chi non riusciva proprio a dormire alcune notti come uno dei miei compagni di cella. Poi il cibo era immangiabile, uno schifo. Però credo che sia così in tutte le prigioni per quanto riguarda il cibo. Anche se alcune volte sembrava di mangiare cibo per gatti e cani”.
Hai mai pensato che sarebbe stato difficile uscire dal carcere? Che notizie vi arrivavano da fuori?
“Certo che l’ho pensato. Ci arrivavano le notizia dall’Ambasciata italiana, ci dicevano che a Roma stavano organizzando delle collette, manifestazioni e che la stampa stava con noi e denunciava quanto successo”.
Credi che se avessi avuto solo il passaporto francese ti avrebbero lasciato andare?
“Se al momento dell’arresto avessi tirato fuori la mia carta d’identità dicendo di esser un turista, direi proprio di sì. Però non l’ho fatto perché pensavo che mi avrebbero rilasciato al massimo 48 ore dopo, e poi non volevo lasciare i miei amici”.
So che vuoi scrivere un libro in cui parli dei fatti di Varsavia…
“Sì ho scritto ciò che è avvenuto e ho parlato delle nostre giornate noiose passate in cella. Poi vedrò se c’è la possibilità di farne diventare un libro per aiutare tutte le persone arrestate ma anche le famiglie a livello economico”.
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