Quest’estate le voci di mercato davano Yaya Touré ad un passo dall’Inter, Mancini era quasi riuscito a convincerlo a sposare il suo progetto, poi ha dovuto ripiegare su Kondogbia, con l’ivoriano che ha prolungato il suo contratto con il Manchester City fino al 2017. Ma quello tra il centrocampista e i Citizens è un matrimonio tutt’altro che felice, la colpa è soprattutto della stampa inglese che non è mai stata tenera nei suoi confronti. Due stagioni fa ha chiuso con 26 reti all’attivo, una cifra pazzesca per un centrocampista difensivo, così i 12 gol messi a segno nell’ultima stagione sono sembrati troppo pochi per uno come lui, che è diventato il capro espiatorio dei mancati successi della squadra di Pellegrini.

Touré, intervistato in esclusiva dall’Équipe in edicola ieri, parla del suo rapporto con i giornalisti d’oltremanica e dalle sue parole si capisce che tra le parti ci sia tutt’altro che stima. Un rapporto che è stato difficile fin da quando è arrivato dal Barcellona:

Ho sempre avuto l’impressione qui di dare fastidio, molto, non so perché. Quando nel 2010 sono arrivato al City, ho sentito alcune persone dire che avrei ucciso il calcio. Arrivavo dal Barcellona senza aver giocato troppo negli ultimi mesi e non capivano il mio acquisto, parlavano del mio ingaggio come fosse una vergogna. Quando ho detto che arrivavo per aiutare il club a migliorare mi hanno preso in giro, si chiedevano come avrei potuto riuscirsi. Poi avete visto che è successo? Abbiamo vinto quasi tutto. Qui quando le cose vanno bene vengono dimenticate, mentre se le cose vanno male allora i giornalisti accentuano. Non c’è riconoscenza, è disgustoso.

Poi torna sulle voci di mercato di quest’estate, giunte al termine di una stagione deludente per il City e per Touré. La pensa diversamente l’ivoriano, che difende i numeri della sua ultima annata in Premier League:

In queste ultime settimane i giornalisti hanno ricominciato a parlare di un mio addio. Ma di che parlano? Vengo da una stagione in cui siamo arrivati secondi in Premier, il campionato più difficile del mondo, ho segnato dodici gol, poi ho dovuto lasciare il club perla Coppa d’Africa, sono mancato per quasi due mesi. E mi si accusa di non aver segnato quanto la stagione precedente? Giustamente l’anno prima avevo fatto 26 gol e nessuno lo dice, comprendete il mio disgusto? Per questo la gente pensava me ne sarei andato, ma dimenticano che sono una persona onesta e la mia parola vale molto. Per fortuna le statistiche e il palmares parlano per me.

I problemi non sono però solo in Inghilterra, anche in patria Yaya Touré è stato al centro di molte polemiche. Nel mirino di stampa e tifosi il suo presunto dualismo con Didier Drogba, il suo ruolo carismatico all’interno dello spogliatoio degli Elefanti:

Pensate alla Costa d’Avorio, lo scorso anno ho raggiunto il mio più grande sogno: vincere la Coppa d’Africa da capitano, dopo due finali perse. E avete visto come mi tratta la gente? Quello che dicono sul mio conto e su mio fratello Kolo? Mi hanno messo contro Drogba, hanno scritto che ero io che non volevo tornasse in nazionale. La verità è che io e il ct Hervé non abbiamo mai smesso di provare a convincerlo. Hanno dato la colpa a me, io non ho risposto, con i miei compagni ho vinto la Coppa d’Africa e per un po’ mi hanno amato. Il motivo di questa avversione viene da lontano, in Costa d’Avorio odiano l’accademia di Jean-Marc Guillou, da cui provengo, perché abbiamo vinto tutto e così anche in nazionale ci sono dei clan, quelli dell’accademia e gli altri.

Yaya Touré racconta come sia stato vittima di insulti anche da parte di uomini politici ivoriani, tutto questo aveva poco a che vedere con il calcio e ha ferito molto il centrocampista. Il giocatore del City però ci tiene a smentire una voce secondo la quale sarebbe prossimo l’annuncio del suo addio alla nazionale, c’è addirittura chi ha indicato il 25 ottobre, giorno delle elezioni presidenziali, come quello designato per comunicare la scelta. Touré smentisce seccamente, dice che non è abituato a rilasciare interviste choc e semplicemente nel suo paese c’è gente che parla troppo. Ma è arrivato anche per lui il momento di vuotare il sacco e togliersi qualche sassolino dalle scarpe:

Amo il mio paese, se non fossi così, se portassi rancore, allora sì avrei lasciato la nazionale. Ma è la mia patria. Quando torno a Abidjan non lo faccio per guadagnare più soldi. Potrei dirti quanto prendiamo per ogni partita, potrei parlare dei problemi che abbiamo con i nostri club quando partiamo con la nazionale, dei sacrifici che faccio, che noi tutti facciamo per la nostra patria. Posso affermare che giocare con la nazionale mi costa più di quello che mi torna in cambio. Ma è il mio paese e anche se sono il giocatore più insultato della storia di questo paese, lo zimbello di tutti, non potrei mai abbandonarlo.

Si passa poi a parlare della vita privata del giocatore, della sua famiglia, di sua moglie e dei suoi tre figli, di cui due maschi. Ed è toccando questi temi che forse arriva la dichiarazione più inaspettata di questa lunga intervista. Nello specifico parlando del futuro dei suoi ragazzi si augura che non seguano le sue orme, il motivo lascia senza parole:

Vi dico una cosa che non ho mai detto a nessuno, se non a mia moglie. Non voglio che i miei due figli diventino calciatori. Non voglio che siano costretti a sopportare tutto quello che ho sopportato io. Mi farebbe male. Preferisco che studino, ecco cosa ho detto a mia moglie. Sapete, tutti pensano che io sia felice: ho vinto dei trofei, ho guadagnato tanti soldi, ma no, io non sono felice…

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ultimo aggiornamento: 20-10-2015


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